“Ma c’è una razza che non accetta gli alibi, una razza che nell’attimo in cui ride si ricorda del pianto, e nel pianto del riso, una razza che non si esime un giorno, un ora…” (Pasolini)
Alla razza che non si esime di ribellarsi appartiene chi vive l’oppressione verso un’altro uomo in modo puramente inaccettabile, chi deve urlare al mondo il proprio sdegno, la propria rivolta e vuole riscoprire i limiti dell’etica sporcati dal sangue di vittime in balia di un carnefice di antica genesi: la Tortura.
Tormenti, umiliazioni, percosse, annientamenti di corpi e anime, i metodi in parte mutati nel tempo mirano a produrre ancora oggi lo stesso effetto il dolore e la confessione per disperazione.
La punizione inflitta dal potere della paura non conosce legge, immagini troppo recenti nel nostro paese come quelle della Diaz ritraggono uomini e donne in balia delle tenebre più oscure, luoghi in cui i diritti umani vengono violati dall’odio cieco, nella sola volontà di degradazione di un essere umano di fronte alla giustizia negata.
Nel mondo della ragione il reato di tortura va perseguito, la crudeltà del carnefice è una scordata purezza che rende uno Stato ignobile in qualunque caso e contro qualunque uomo anche il più vile dei colpevoli, un inferno senza assoluzione.
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