“Gli uomini contribuiscono al loro destino, a determinare certi eventi. Invocano il loro destino, lo stringono a sè e non se ne separano più. Agiscono così pur sapendo fin dall’inizio che il loro modo di agire porterà a risultati nefasti” (Sàndor Màrai)
Il Muro immaginato da Viktor Orbán per respingere i migranti pachistani, afghani e siriani in arrivo dai Balcani è reale, duecento chilometri di filo d’acciaio sostenuto da piloni lunghi sei metri che entrano per due metri nel terreno -prodotto di alta tecnologia meccanica italiana- troneggia ora come un girone dell’inferno dantesco al confine con la Serbia e verrà ultimato il 31 agosto, dopo un mese e mezzo di lavori.
Una parete d’ombra, una rinuncia alla luce, una libertà illusoria, un vuoto di memoria verso un passato di ferite troppo recenti per essere dimenticate, un abisso per respingere un corteo di esuli stremati nell’indifferenza dell’Europa che resta silente a guardare il capolavoro di Orbán.
Non proviamo più meraviglia del mondo, non proviamo più speranza, non riusciamo più a perdonare l’innocenza di chi è costretto a mutare la morte in sogno. Uomini, donne e bambini, gli ultimi del mondo in fuga dentro il gelo implacabile dell’odio lacerati da un nuovo filo spinato e una triste verità “Noi siamo ciò su cui manteniamo il silenzio”. (Sàndor Màrai)