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Caporalato, Gian Carlo Caselli: “la mafia fiuta l’affare dell’agroalimentare. Urge attrezzarsi penalmente e politicamente”

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Otto centesimi al chilo; tanto vale la vita di un lavoratore agricolo. Otto centesimi corrispondono al valore di un chilo di pomodori. Otto centesimi non coprono neppure i costi di produzione e raccolta secondo Roberto Moncalvo, presidente della Coldiretti che è tornato a denunciare come i conti, alla fine, si fanno sempre sulla pelle delle persone che esistono solo quando qualcuno, fiaccato dalla fatica e di stenti, viene ritrovato cadavere. Si parla di un esercito di 400mila lavoratori stranieri le cui braccia ingrassano caporali   stranieri ed italiani che, per conto  di aziende senza scrupoli, vanno alla ricerca di forza lavoro a basso costo e zero diritti.
Per il magistrato Gian Carlo Caselli il problema di fondo è che in Italia il caporalato e suoi frutti marci vengono trattati sempre con un approccio di “emergenza” mentre, al contrario,  rappresentano  qualcosa di endemico, dalle radici profonde nella nostra terra.

Ogni stagione è buona: l’estate con i pomodori, l’inverno con le arance. Di sei mesi in sei mesi si scopre che esiste il caporalato e che i costi si abbattono sulla pelle di quanti lavorano nei campi.
Direi 365 giorni in cui il modello agroalimentare basato sull’illegalità,  riesce a nutrire e sfamare un’economia sporca che fa comodo a tanti ma che distrugge il sistema sano di raccolta e produzione dei beni. Il settore alimentare tira sempre e le mafie hanno un gran fiuto per le situazioni che si prestano ad una loro presenza massiccia e sempre ben organizzata: dalla raccolta alla lavorazione, dalla spedizione al trasporto, dalla gestione delle pompe di benzina fino a quella  della distribuzione. La mafia riesce a contaminare anche gli ambiti delle cassette di plastica e degli imballaggi. Nessun settore rimane escluso e più la filiera è lunga, maggiore è il pericolo che perda trasparenza. La filiera lunga spesso è malata, sporca ed è sicuramente quella che registra, al suo interno,  il fenomeno del caporalato. Il lavoro, grigio o nero che sia, rappresenta un orizzonte di sfruttamento umano paragonabile alla schiavitù.

Schiavitù che pare  esistere solo quando ci scappa il morto. Nell’agroalimentare così come nell’edilizia. Padroncini che caricano manodopera da sfruttare. Da nord a sud pare non ci sia grande differenza.
Il paradosso è che si sa tutto grazie a reportage, inchieste giornalistiche, denunce da parte degli stessi sfruttati, di associazioni come Medici senza Frontiere, organizzazioni sindacali e che portano ad indagini giudiziarie. Noi sappiamo tutto, eppure non cambia niente. Dobbiamo smettere di avere un approccio di emergenza allo sfruttamento dei lavoratori. Un fenomeno che non accusa alcuna inflessione, anzi i dati confermano quanto sia in fase di estensione anche in zone ricche, come ad esempio, quelle del mio Piemonte.

Si riscopre lo scandalo, ci si indigna e la politica corre a fare un’altra nuova legge. Intanto però si tagliano risorse alle strutture di controllo. Perché l’Italia è sempre così ipocrita nel risolvere le questioni?
L’Italia è uno dei paesi che più beneficia dell’impegno pubblico e privato di strutture di inchiesta e di controllo le cui azioni sul territorio producono anche risultati di grande peso, ma questo non basta. Non possiamo lasciarle sole. Mi riferisco ad esempio ad il lavoro recente svolto da tre realtà come: “DaSud”, “Terra! Onlus”, e “Terrelibere.org” e la loro campagna #FilieraSporca dove viene ricostruito  il percorso dei frutti dai campi agli scaffali dei supermercati. Loro è anche il concetto di “etichetta narrante” da inserire in ogni prodotto per indicare in modo certo ed inequivocabile  ogni passaggio che caratterizza il prodotto acquistato e che finirà nelle nostre case.   Ecco,  la politica può e deve attingere da questa dimensione di attivismo etico e civile. Un altro paradosso è che secondo recenti studi l’Italia, a livello europeo, ha il primato dei controlli rispetto agli altri Paesi dell’UE.  Forse serve maggiore e migliore utilizzo oltre che scambio di dati tra realtà di controllo che, certo, vanno anche messe nella condizione di svolgere le loro funzioni.

Oggi oltre che presiedere dell’Osservatorio sulla criminalità nell’agroalimentare istituito dalla Coldiretti  ha accettato anche l’incarico di presidente della Commissione – in seno al ministero della Giustizia – per la riforma dei reati agroalimentari. Quali sono i suoi intenti operativi?
Come osservatorio vorremmo anche partecipare al tavolo di confronto sul caporalato avviato dal ministero dell’Agricoltura attraverso il quale si stanno valutando le misure più idonee per intervenire nel settore. Tra l’altro si parla anche di un cambiamento alle assunzioni di manodopera, magari fatte con liste di prenotazione pubbliche all’inizio di ogni raccolta. È anche allo studio la possibilità di confische, così come previsto per i reati mafiosi. Tutte le misure in campo vanno nella direzione di tentare di rafforzare la cultura della legalità  nello specifico del settore agroalimentare. Per quanto riguarda la Commissione interna al dicastero della Giustizia, l’obiettivo finale  è quello di giungere ad un capitolo specifico del Codice Penale così come già avviene nel caso degli ecoreati.


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