I convertiti sulla via del potere

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“C’è una questione generazionale nella politica odierna della sinistra, con il nuovo, vitale, che si sta prendendo il suo spazio e il vecchio, rancoroso, che non vuole lasciarglielo”. È solo una delle tante cose che m’è capitato di leggere in questi giorni, quasi che a spiegare il conflitto e lo scontro bastasse l’anagrafe. Sinceramente, la ritengo un’idiozia.

Io critico Renzi, eppure sono di due anni più giovane, ne ho tre in meno del rampante togliattiano improbabile Orfini e sono nato sette dopo l’amazzone sterminatrice di dissidenti Serracchiani. Di contro, a ergersi quali ascari del renzismo innovatore e veloce (che il futurismo è sempre votato al culto della velocità, per dire del nuovo) ci sono Fassino, uno che fa politica da prima che tutti quelli che ho nominato nascessero e che di lasciare il suo posto non ha alcuna intenzione, da qualche giorno un giovane commentare a fumetti con tre quarti di secolo di vita alle spalle e il virgulto amendoliano Napolitano, venuto al mondo quando quell’altro dal carattere volitivo che parlava di fare “largo ai giovani” aveva preso il potere da appena tre anni. No, la questione generazionale non regge quale spiegazione del non allineamento conformista di alcuni; proviamone un’altra.

Supponiamo (ma lo dico solo come ipotesi) che qualcuno, alle parole che questa nuova classe dirigente diceva in campagna elettorale, non più di una trentina di mesi fa, ci credesse davvero. Che credesse che mai con la destra significasse davvero (pensate voi l’ingenuità) mai con la destra, né con Berlusconi e Verdini per le riforme, né con Alfano e Sacconi per tutto il resto. Che credesse che il cambiamento non fosse realizzare quello che i governi di centrodestra non erano riusciti a fare, dall’abolizione dello Statuto dei lavoratori alla chiamata diretta degli insegnanti, dalla libera trivella in libero mare a un Piano casa come misura securitaria per la felicità dei ricchi e la disperazione dei poveri, il tutto con un’idea di riforme istituzionali ed elettorali che dovrebbero, in estremo gesto governista, affidare quasi tutto il potere al leader trionfante di turno (chiunque esso sia, se ne ricordino quelli che minaccian tregende se vincesse quello “sbagliato”). Che credesse che una politica nuova dovesse essere quella capace di fare cose differenti, invece che le stesse con volti diversi. Non avrebbe qualche motivo di delusione e qualche ragione per avversare quello che vede continuamente perpetuarsi?

Perché se ai convertiti sulla via del potere va bene fare tutte le cose che si contestavano e combattevano appena ieri, ci possono essere anche quelli che, legittimamente, continuano a ritenere valide le idee che avevano un paio d’anni fa. E non perché siano gufi (“a morte!”, come urla qualche vignettista in cerca d’autore pagante), semplicemente, per rimanere alle metafore zoologiche da cartoon, perché hanno una memoria un po’ più lunga di quella dei pesciolini rossi, che qui han dimenticato pure il loro colore.


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