Il 27 luglio 2015 è andato in edicola l’ultimo numero della “Gazzetta del lunedì” che sancisce anche la chiusura del “Corriere Mercantile” testata storica genovese nata nel 1824 edita da una cooperativa. Quindici giornalisti, due fotografi, tre poligrafici e due amministrativi restano senza lavoro. ricorda le sue esperienze al Corriere Mercantile riflettendo sul silenzio sul futuro dei nostri quotidiani
La chiusura, appena annunciata, delle pubblicazioni del Corriere Mercantile e della Gazzetta del Lunedì che a Genova uscivano dal 1824 mi spingono a ritornare ancora una volta sul problema dell’informazione, un bene di cui il nostro Paese ha un bisogno molto forte e che, negli ultimi anni, invece di diminuire è diventato più centrale all’Italia che non ha più grandi partiti (se in parte si escludono il partito democratico di Renzi e Forza Italia dell’uomo di Arcore)e che anche in campo televisivo è caratterizzato da un duopolio Rai-Mediaset che tarda pericolosamente ad accettare una terza voce come quella della 7, gestita dall’imprenditore piemontese Cairo.
C’è per me prima di tutto un lontano ricordo di cui non ho mai parlato: negli ultimi anni Cinquanta,ancora impegnato a Napoli negli studi universitari di Diritto e di Storia, ricevetti dal proprietario genovese del giornale, l’armatore Fassio, l’invito a raggiungere la capitale ligure e a lavorare nella redazione del Corriere Mercantile per alcuni mesi. Accettai l’offerta complice il direttore di quel giornale allora che si riferiva al partito liberale e così imparai alcuni fondamenti del mestiere giornalistico, i titoli, l’impaginazione del giornale e la stesura delle cronache, proprio in quella città. E ricordo con quasi commozione e una certa nostalgia la cura che il capo della redazione e il direttore misero nel rendermi partecipe di un mestiere che allora aveva accentuate caratteristiche di forte individualismo e di pronunciata artigianalità. La considerazione che segue ricorda i destini dell’informazione nel nostro Paese di fronte a classi dirigenti che, anche in questo periodo, ed essendo composte in maggioranza da esponenti politici che pure vengono da tradizioni democratiche o addirittura socialiste, sembrano non rendersi conto del fatto che la morte di testate come quelle che abbiamo citato e che arrivano dopo la fine di un numero complessivo assai alto che è avvenuto negli anni scorsi e con la situazione televisiva a cui abbiamo accennato non può che rendere più precario il pluralismo voluto dalla nostra Costituzione e il necessario dibattito sui problemi sempre nuovi della repubblica.