Oggi l’orrore del Boko Haram è sulle prime pagine dei giornali, ma arriva in differita, con una settimana di ritardo. La violenza del Boko Haram ha ucciso 150 persone e poi si è accanita sui mezzi di comunicazione. Ha distrutto le antenne di telecomunicazioni, ha spento tutto e ha chiuso ogni spiraglio che consentisse di fare luce, di vedere cosa era successo. Le testimonianze dei sopravvissuti oggi raccontano che molti sono morti annegati in un fiume dove si erano gettato per cercare di sfuggire al massacro.
Lo sappiamo solo oggi cosa è successo nel villaggio di KuKura Gawi, stato di Yore nord est della Nigeria. Ma le notizie dell’orrore arrivano spesso in ritardo e dunque non ci è permesso di vederle e di capire subito, mettendo insieme tutti gli elementi. La storia di Prudence lo dimostra.
Prudence ha lo sguardo dritto mentre piange disperata. Mostra le cicatrici che il fuoco ha lasciato sul suo corpo e ripete “questa sono io”. Dicono non sia facile vedere una donna nigeriana piangere in pubblico eppure Prudence si mostra anche alle telecamere. Lo fa per lanciare un grido disperato di aiuto, la violenza del Boko Haram le rimarrà impressa per sempre. Il dolore provocato dall’esplosione che ha ucciso ottanta persone e ha ferito lei assieme ad altri duecento, l’ha accompagnata in questi otto mesi di fuga senza cure adeguate che l’hanno portata fino in Italia. Ma il suo pianto, il suo grido disperato non serve a mitigare quella sofferenza, serve piuttosto a dire: guardatemi perché esisto, “questa sono io”. Prudence è rinchiusa nel Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria con un decreto di espulsione che pende sulla sua testa. È rinchiusa nel Cie assieme ad altre 65 ragazze nigeriane, sfuggite alla violenza ottusa degli integralisti islamici del Boko Haram, agli stupri e all’inferno della Libia, sopravvissute alla traversata del Mediterraneo e ora chiuse nel Cie con un decreto di espulsione.
Prudence è vittima di tratta, destinata alla prostituzione assieme alle altre. Al termine di un percorso infernale avrebbero trovato la strada, il marciapiede, ancora soprusi, violenze, sfruttamento e nessuno capace di vedere la loro esistenza. Invece sono chiuse nel Cie.
Rischiano di tornare indietro Prudence e le altre, rischiano di ripartire dal via in questo gioco ottuso messo in moto da leggi ottuse e dalla incapacità di guardare e di capire e di prendere decisioni giuste. La storia di Prudence non l’avremmo mai conosciuta se non fosse stato per le associazioni che l’hanno scoperta e denunciata come A Buon Diritto, Bee Free, e alla campagna LasciateCIEntrare. Intorno a loro le antenne, i mezzi di comunicazione erano spenti come se fossero nel villaggio di KuKura Gawi, stato di Yore nord est della Nigeria.
Una delle regole del giornalismo dice che le notizie sono più rilevanti se avvengono vicino a noi, se ci coinvolgono, ma forse è una regola che andrebbe rivista dal momento che le vittime di quelle violenze lontane vengono da noi a mostrarcene gli effetti e ci chiedono aiuto, ci chiedono di guardarle e di ascoltarle, ci chiedono di agire.
La strage che ha ferito Prudence ha fatto ottanta morti e duecento feriti, una esplosione alla stazione degli autobus. Lo stesso bilancio tragico, la stessa dinamica della strage di Bologna del 1980. Non siamo poi così distanti.
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