Sei potenziali assassini girano a piede libero per Genova e dintorni, dopo aver aggredito a pugni e colpi di catena due giovani uomini, riducendone uno in fin di vita. Il fatto si verifica la notte di martedì 14 luglio, dove un uomo di 40 anni, dopo aver trascorso una serata nel centro storico sale insieme a un amico sull’1, in piazza Caricamento. Alle 3.49 invia un sms alla fidanzata, annunciandole di essere in procinto di salire sull’autobus per tornare a casa. Una volta a bordo del mezzo, l’uomo è apostrofato da una ragazza, che si trova in compagnia di quattro giovani uomini e un’altra donna: “Gay di merda, che cazzo guardi il mio fidanzato?”. Sconcertato, l’uomo le risponde: “Niente, ero sovrappensiero”. Il branco però non si accontenta di quella risposta e, sotto gli occhi dell’autista, che non interviene in alcun modo e non avverte neppure le autorità, i due amici vengono pestati con una furia cieca. I sei giovani omofobi infieriscono sulle loro vittime colpendoli al capo, sul volto, sugli arti, sulla schiena. Sotto choc, le vittime non sporgono denuncia, ma una settimana dopo, nella notte fra il 21 e il 22 luglio, il quarantenne si sente male. Le sue condizioni peggiorano e la fidanzata chiama un’ambulanza. All’ospedale Villa Scassi di Sampierdarena lo sottopongono a Tac e riscontrano un ematoma cerebrale. Viene trasferito d’urgenza al Galliera e, in coma farmacologico, operato d’urgenza. Attualmente l’uomo è in condizioni gravi e non è ancora in grado di parlare. La prognosi è riservata.
EveryOne Group, organizzazione internazionale per i diritti umani, lancia un appello alle autorità cittadine. “A Genova è avvenuto un crimine orrendo,” commenta il co-presidente Roberto Malini, “la cui matrice omofoba lo rende ancora più odioso e inquietante. Siamo a fianco del giovane e della sua famiglia, preghiamo perché si riprenda al più presto e ci mettiamo a loro disposizione per affiancarli in qualsiasi azione civile mirata a ottenere giustizia. Alle istituzioni di Genova chiediamo di effettuare indagini approfondite, senza trascurare nulla, per identificare il branco di aguzzini”.
“Ci sono almeno due testimoni,” prosegue Malini, “l’autista e la seconda vittima del pestaggio. Ma sicuramente, altri passanti, nonostante l’ora tarda, hanno visto il gruppo prima, durante e dopo il pestaggio. Inoltre, vi sono diverse videocamere di sorveglianza dislocate lungo tutti i possibili percorsi effettuati dai violenti. Rintracciarli è possibile, con un lavoro di indagine attento e metodico, a 360 gradi. Si parla di un branco che vive in Valpolcevera: è un primo indizio. Vi sono altri autisti dell’1 che potrebbero aver osservato il branco nelle sere precedenti al crimine. Genova ha mostrato in più occasioni di essere in grado di combattere la violenza e le forme estreme di intolleranza. Non deve arrendersi neanche adesso all’odio e alla brutalità. Lo deve alla vittima del pestaggio, che – anche se guarirà nel corpo, come tutti noi speriamo – resterà segnata per sempre dalla barbarie subita. Lo deve ai giovani, che hanno bisogno di crescere in un ambiente sicuro, civile e tollerante. Lo deve alla cittadinanza, che ha il diritto di salire su un mezzo pubblico senza tremare. E soprattutto lo deve a se stessa, perché lo spirito della città è uno spirito di libertà, tolleranza e pace che non accetta il terrore”.
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