L’attenzione dei mezzi di comunicazione di massa oscilla in queste settimane tra le vicende internazionali di particolare rilievo come il destino della Grecia che continua ad oscillare tra il default più volte pronosticato e quelle di casa nostra che riguardano purtroppo quelle che una volta si chiamavano-ma sono tempi ormai lontani-le tare del paese Italia: e tra queste per riconoscimento quasi comune persino a livello parlamentare (almeno negli anni in cui ci sono stato anch’io) era il rapporto troppe volte vicino tra la politica e le mafie(già le quattro di cui siamo paese primogenito: Cosa nostra, ‘ndrangheta,camorra, sacra corona unita e società segrete come la P2 che, con le mafie, hanno avuto un rapporto privilegiato.
Tra di esse era un poco di tempo che non c’era più stato modo di parlare di un fatto noto almeno ai siciliani: la sottile rivalità tra le due principali città dell’isola, Palermo e Catania in fatto di mafiosità. Nel senso che, per molto tempo, è stata la capi tale dell’isola a detenere almeno agli occhi degli osservatori esterni il monopolio della presenza mafiosa ma poi a un certo tempo il male italiano , come lo chiamano alcuni osservatori stranieri, si è sviluppato anche nella città cara a Leonardo Sciascia e a tanti scrittori italiani. Tra i clan che si sono affermati e consolidati negli anni ruggenti dell’ascesa mafiosa del Novecento indubbiamente Catania è diventata l’altro centro importante per i traffici cari alle associazioni mafiose. E tra i clan quello dei Santapaola ha assunto un rilievo indubbio per le imprese di cui è riuscito a diventare attore o addirittura protagonista. Di qui l’interesse delle notizie che arrivano in questi giorni dalla città a proposito dell’arsenale vero e proprio di guerra in mano al clan Santapaola che soltanto di recente è stato acquisito dalle forze dell’ordine dello Stato. Gli ultimi sequestri compiuti di pistole, mitra e kalashinov dimostrano ancora una volta, e in maniera indiscutibile ,la pericolosità del clan Santapaola.
Il reggente della mafia catanese è Andrea Nizza del quartiere di Librino. Tra edifici abbandonati e campi incolti sono nascosti arsenali da utilizzare quando fosse necessario. E i mitragliatori sono l’arma che prediligono le organizzazioni criminali che controllano la città. Uzi, mitra a 47 e skorpion sono le armi preferite dalla mafia di Librino. Le indagini in corso portano a scenari preoccupanti. Come l’ultimo sequestro operato dai carabinieri di Fontanarossa che hanno trovato in campi incolti e abbandonati armi da guerra perfettamente funzionanti che potevano essere usati in qualsiasi momento.
Poche son le persone del clan che conoscono i covi degli arsenali e che possono avere accesso e, quando un’arma viene messa in circolazione e usata, questo significa che il capomafia e il reggente decidono in questo senso. Andrea Nizza, che in questo momento è quello che ha l’ultima parola, è latitante da oltre otto mesi e per mantenere il pieno potere ha assoldato dei fiancheggiatori. La mappa degli arse nali è sotto il diretto monitoraggio di Nizza e qualsiasi azione criminale deve essere pianificata deve essere autorizzata dal “capo”. Le armi possono servire ai gruppi di spaccio per repe rire i “fondi” per pagare le partite di droga da vendere. Il “referente” chiederà il placet al delegato di Nizza che ha ruoli di vertice e che, a sua volta, potrà consultarsi con il reggente. Il fulcro delle entrate di liquidità delle consorterie mafiose catanesi è lì: Librino è tra i più fiorenti mercati della vendita di stupefacenti. E’ una roccaforte di cocaina, eroina e marijuana dove le armi servono per assicurarsi la piena omertà del quartiere catanese. In alcune occasioni le tensioni per la droga sono scoppiate nel sangue: come per l’omicidio di Daniele Di Pietro ucciso un anno fa in un agguato al viale Bummacaro dai fratelli Celso. Dopo quel delitto si scatenò un’ondata di violenza straordinaria. O come nel caso del rigattiere Giovanni Di Bella, ucciso sul pianerottolo di casa sua, come riportano le cronache giornalistiche, da Alessio Marino.