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Cecil il leone, un simbolo della stupidità umana

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Di Antonella Sinopoli

Il leone Cecil, Hwange National Park, Zimbabwe 2010. Foto dell'utente Flickr Daughter#3 su licenza CC

Cecil era un bel leone in carne ed ossa. Ora Cecil è un simbolo. È il simbolo di alcuni fondamentali aspetti della nostra esistenza. Della stupidità umana, prima di tutto. Della sovrana arroganza dell’essere umano. È il simbolo dell’avidità del possesso. Ed è il simbolo di una scomparsa lenta e costante. La scomparsa di un felino così maestoso e potente dalla faccia della terra. Si dice estinzione, si legge stupidità umana.

Lo scorso anno uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Plus One, informava che gli esemplari di leone, solo nell’Africa occidentale, erano ormai ridotti a 250 adulti e 150 piccoli. In tutta l’Africa – ma sono dati del 2012 – ne sarebbero rimasti 32.000. Non si può giocare di ottimismo e pensare che la situazione sia migliorata. Nel frattempo è arrivato in Zimbabwe il dentista cacciatore e ha deciso che Cecil doveva essere suo.

Di stupidaggini sui media e sui social se ne sono lette tante. Per esempio che il Governo del Paese africano abbia messo in piedi tanta propaganda sui giornali solo perché in realtà il cacciatore non avrebbe pagato la quota prevista. In realtà, il dentista ha pagato una guida compiacente per far uscire il leone dai confini del Parco. E, in realtà, Cecil era uno degli esemplari protetti e controllati da uno studio in corso da parte della Oxford University per stabilire l’impatto della caccia nel Hwange National Park. Cosa si è scoperto finora? Che su 62 leoni monitorati 34 sono morti, di questi 24 uccisi da cacciatori. Per sua sfortuna il dentista si è accorto solo dopo aver ucciso e decapitato Cecil del collare attraverso cui gli scienziati monitoravano il leone.

Un’altra sciocchezza letta sui social è: perché la gente si commuove e mobilita così tanto per un leone o per un orso e non è sufficientemente sensibile alle vittime di guerre e conflitti, per esempio? Forse perché il mondo animale non cerca la guerra, non la conosce, non provoca. Forse perché il mondo animale subisce le conseguenze della deforestazione, dell’urbanizzazione, della presunta potenza e prepotenza dell’uomo. Un animale crea più empatia (in molti, non in tutti) perché è indifeso. È indifeso anche quando ha unghie e denti affilati, anche quando è il re della foresta. È indifeso contro l’uomo.

La Delta Air lines, compagnia di bandiera americana, ha emesso un divieto – pare con validità immediata – di spedire sui propri aeromobili trofei di leoni, elefanti, leopardi, rinoceronti e bufali, i cosiddetti big five. Speriamo che non sia solo una decisione dettata dall’ondata di reazioni all’uccisione di Cecil e che  la compagnia riesca a resistere alle pressioni che sicuramente arriveranno.

Nell’Africa sub-sahariana quasi 6 milioni di chilometri quadrati sono utilizzati come terreno di caccia, un’area molto maggiore di quella riservata ai parchi naturali. Negli ultimi 21 anni il numero totale dei leoni è crollato del 42%. Di chi è la responsabilità? Dei Governi locali ovviamente, ma anche dell’enorme domanda. La caccia è un affare assai lucrativo che coinvolge tante persone, ovvio. E contribuisce all’economia dei territori ma… a quale prezzo?

Secondo l’Unione internazionale per la conservazione della natura ogni anno 600 leoni sono massacrati “per sport” e pare che il 64% dei cacciatori siano americani. Non vogliamo farne una questione di nazionalità o segnalare i più cattivi. È semplicemente una tradizione “culturale” insieme a una maggiore disponibilità di denaro. Perché con i soldi, si sa, si può tutto.

Persino distruggere il pianeta.

Da vociglobali


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