Una svista colpevole e gravissima quella compiuta nel valutare il senso del funerale di Vittorio Casamonica. Come è accaduto alcuni decenni fa in Sicilia e non molto tempo fa in Lombardia , a Roma la mafia c’e’ ma non si vede o non si vuol vedere, comunque si nega che vi sia. Le forze dell’ordine non hanno sbagliato per carenze nello scambio di informazioni, ma perché non hanno colto la natura del fenomeno “Famiglia Casamonica”
Tutto ci voleva, in questo momento a Roma, per rendere ancora più difficile la comprensione della “questione Rom” ed un corretto approccio al “superamento dei campi”, tranne il decesso dell’esponente di maggior spicco della famiglia Casamonica, cui familiari ed adepti hanno voluto rivolgere, con i funerali, un tributo che suonasse ad un tempo attestazione di rispetto, stima, affetto e dimostrazione di potenza e potere.
Non ci voleva, perché ciò che è stato messo in risalto dalle cronache radiofoniche, televisive e dei giornali è stata l’origine Rom della famiglia Casamonica. Così è stata accreditata l’idea che ciò che è avvenuto sia stato esclusivamente manifestazione della cultura Rom, marchiando negativamente, ancora una volta,questa minoranza storico-linguistica, priva di tutela.
La presenza in quei funerali di elementi e simboli appartenenti alla cultura e all’immaginario Rom ha nascosto, nella interpretazione approssimativa e superficiale che in genere ne hanno dato i media, il senso ed il significato profondi di quei funerali. Che sono stati assai poco l’omaggio rivolto al patriarca di una “famiglia” Rom e moltissimo l’ossequio al temuto capo di una potente cosca malavitosa che primeggia tra quelle che si sono affermate nella Città di Roma. I Rom muoiono come tutti e nei “campi” quindi vi sono spesso dei decessi. Quando a morire è un “capofamiglia” anziano e stimato, i funerali si celebrano secondo i costumi tradizionali del gruppo etnico di appartenenza del defunto. Nessuno però, tranne gli abitanti dei campi ed i pochi “gagé” che hanno rapporti con loro, se ne accorge.
L’origine Rom di questa famiglia abruzzese trapiantatasi a Roma, dove ha costituito un suo dominio, ha sviato l’attenzione degli osservatori ed ha impedito loro di accorgersi che il rituale cui i funerali hanno obbedito richiama, assai più che le tradizioni Rom, le usanze delle cosche mafiose e della ndrangheta. Ha impedito loro di ricordarsi dei feretri portati in corteo dinnanzi alle abitazioni dei defunti, dei portoni e delle serrande chiuse al passaggio dei carri in segno di omaggio e cordoglio; delle processioni di patroni e di madonne, le cui statue vengono fatte sostare, in segno di rispetto, dinnanzi alle abitazioni dei capiclan, magari deviandone appositamente il percorso. Ancora di recente sono intervenuti vescovi ed autorità di pubblica sicurezza per impedire il ripetersi in Calabria ed in Sicilia di sconcezze del genere.
A spiegare questo fraintendimento gravissimo non basta il cumulo di pregiudizi che si è accumulato per secoli nella cultura della componente maggioritaria della società italiana, di cui il sociologo Gabriele Roccheggiani ha ricostruito un’interessante storia lo scorso 25 gennaio in un’iniziativa organizzata da Piantiamolamemoria in occasione del Giorno della Memoria, che si può consultare su http://www.piantiamolamemoria.org/la-questione-rom-in-italia-tra-ieri-e-oggi/.
Ai pregiudizi, e alla falsa coscienza che li accompagna, va aggiunta l’enorme sottovalutazione del fenomeno malavitoso che alligna a Roma da decenni, permeando i gangli vitali della società e delle istituzioni, senza che vi siano denunce proporzionate alle dimensioni e alla qualità del fenomeno, tranne sporadiche coraggiosissime voci di giornalisti (che vivono per questo sottoscorta), e che vengano adottati antidoti commisurati. Si è scoperto così, quasi per caso, che “Albertino”, il capo della banda della Magliana, ucciso per strada, abbia avuto sepoltura nella cripta di una basilica romana, grazie alle commendatizie di un qualche cardinale; si è scoperto che probabilmente è collegata a questa impropria sepoltura la scomparsa di una giovanissima cittadina della Città del Vaticano ed anche quella di un’altra giovane romana; ed inopinatamente si è scoperto che le propaggini di quella malfamata banda si sono intrecciate con quell’intrico fittissimo di interessi, connivenze e corruttele che ha collegato malavita organizzata e ambienti politici romani soprattutto della destra estrema, ma non solo di questa, con pezzi dell’amministrazione pubblica a vari livelli. Questo intreccio ha dato vita ad un vero e proprio sistema e lo si è chiamato “mafia capitale”. Ad esso era ed è connessa la cosca Casamonica, con un numero grande di affiliati e l’accumulo di un imponente patrimonio, frutto di malaffare. Ciò che ha fatto scalpore, però, sono stati gli aspetti folcloristici di un funerale, attribuiti, almeno in parte impropriamente, alla tradizione Rom. Funerale che ha colto di sorpresa forze dell’ordine ed istituzioni. Ma non per gravi carenze nelle comunicazioni interne, secondo il parere che i media attribuiscono al prefetto Gabrielli, ma per un deficit di comprensione del fenomeno. Deficit che non riguarda solo le forze dell’ordine, ma tutta intera la società civile, che in gran parte pensa che a Roma la mafia non c’è; ma i Rom si e sono loro il problema.
Qui sta il punto: siamo al cospetto del dilagare della mafia nella capitale d’Italia e dibattiamo di Rom.