E’ il “mondo di mezzo” che come sa fare bene la mafia ha preso forma durante un funerale. Le esequie a Roma del boss Vittorio Casamonica hanno scosso parecchio, hanno fatto emergere assieme al volto di una mafia che sa farsi beffa delle indagini, anche clamorose contraddizioni. Tanti si stanno interrogando come sia stato possibile permettere un funerale che ha celebrato le gesta criminali di un capo mafia, ma quando lo scandalo è scoppiato, il danno era già fatto. Le istituzioni per colpa di chi avrebbe dovuto vigilare hanno subito uno smacco incredibile davanti a quei sei cavalli neri che hanno trainato una carrozza antica, e che hanno attraversato una folla di gente, venuta ad accompagnare la bara del capo mafia con tanto di banda musicale che intanto ha intonato la colonna sonora del Padrino di Francis Ford Coppola, mentre dall’alto, da un elicottero per tutto il tragitto percorso dal corteo funebre, sono stati ininterrottamente gettati petali di rosa. A celebrazione religiosa terminata la colonna sonora è stata cambiata, è stato suonato il tema musicale del film “2001 Odissea nello spazio” mentre stavolta la bara era posta dentro una lussuosa Rolls Roys. Tutto quasi fosse un film, ma non era un film. Scene di quella Sicilia che così quando ha potuto farlo, ma decenni addietro, ha salutato in questo modo i suoi capi mafia, scene di oggi ma tra le strade della Capitale. Nella Roma di Papa Francesco che contro le mafie ha fatto sentire la sua forte voce di condanna, in una chiesa, quella di Don Bosco, quartiere Tuscolano, c’è stato un sacerdote (la chiesa è la stessa che negò i funerali a Piergiorgio Welby, il militante del Partito Radicale che chiese ai medici di essere aiutato a morire e per questo gli si rifiutò la celebrazione religiosa) che ha permesso un funerale fin troppo spettacolare, che poi ha però detto di non sapere nulla di quanto accadeva fuori dalla chiesa, sul sagrato. No non è stata occasione per un estremo ultimo saluto, è stato un funerale che è servito a dire che la mafia è presente, altro che sconfitta. All’ingresso della chiesa c’è stato chi ha voluto rendere omaggio il padrino capo dell’omonimo clan dei Casamonica, “Hai conquistato Roma ora conquisterai il paradiso” con il volto del “don” in primissimo piano, vestito di bianco e con il crocifisso al collo, Colosseo e la Cupola di San Pietro sullo sfondo, e poi ancora un’altra scritta a caratteri cubitali “Re di Roma”. Non c’è dubbio si è trattata di una espressione di ostentazione del potere mafioso a Roma, è stato l’oltraggio dato a chi nella società civile e nelle sedi giudiziarie lavora ogni giorno per togliere terreno fertile alle mafie. Vittorio Casamonica era il capo di un potente clan che gestiva, ma si potrebbe parlare anche al presente, estorsioni e usura. Un clan che dovrebbe essere respinto dalla gente e invece quella folla racconta altro, dimostra che purtroppo la storia è altra. E’ una storia che ci dice che la mafia ancora oggi riceve consenso perché probabilmente riesce a dare risposte, è una storia che ci dice come incredibilmente solo dopo funerale e corteo chi avrebbe dovuto impedire tanto sfarzo, ha saputo. In un Paese normale dovrebbe accadere che chi ha permesso tutto questo, mostrandosi gravemente distratto, dovrebbe essere invitato senza tante gentilezze a lasciare poltrona, scrivania e uffici. La solita trafila italiana di chiedere, come sta puntualmente accadendo, giustificazione a quanto accaduto, di solito poi si conclude senza che alcuno paghi per le sue colpe. E’ una storia che ci racconta la grande abilità della mafia che oggi si fa chiamare sommersa e invece è ben visibile, si offre in un funerale ma sicuramente sa offrirsi nella vita quotidiana.
E’ una storia che racconta come l’Italia si è sicilianizzata mentre oggi in Sicilia queste scene non si vedono più da decenni, perché c’è una chiesa coraggiosa, e pensiamo per esempio a quella di Mazara che chiuse l’accesso alle navate alla bara del capo mafia Mariano Agate e vietò anche la più semplice e modesta cerimonia che i familiari del capo mafia mazarese avrebbero voluto far svolgere al cimitero. Il prefetto di Roma Gabrielli ha negato ogni conoscenza del fatto da parte della prefettura, ma poi ha aggiunto che non bisogna amplificare nulla. Dimenticando che ad amplificare ci ha pensato la famiglia del boss defunto e i mafiosi del clan.
La storia del clan Casamonica è raccontata all’interno degli atti di Mafia Capitale, il collega Lirio Abbate ha saputo bene disegnarne i contorni, un clan composto da famiglie sinti, etnia nomade ormai presente da decenni in Italia, originario dall’Abruzzo, arrivati a Roma negli anni ’70, mentre dalla Sicilia arrivavano i primi capitali da riciclare e da investire nel traffico di droga, fu la mafia siciliana a fare alleare i Casamonica con Ndragheta e Banda della Magliana. Ma non solo droga e pizzo, una delle abilità del boss Vittorio Casamonica era anche quello di interessarsi al traffico di reperti archeologici, guarda caso uno degli affari preferiti da Cosa nostra trapanese nelle mani del latitante Matteo Messina Denaro. I sospetti di contatti tra i due sono rimasti tali, mai nessuna prova, ma alcuni affari avrebbero portato i due a colloquiare.
E l’adulazione funebre riservata a Casamonica ricorda tanto l’adorazione che ancora dalle parti di Castelvetrano e della provincia di Trapani è riservata da insospettabili colletti bianchi al latitante Messina Denaro. E a conclusione del funerale di Vittorio Casamonica c’è stato chi ha voluto dire come la pensava sul boss, “era una brava persona, corretto”. Nel nostro Paese la parola d’ordine che vuole una lotta serrata contro la mafia ha subito un gravissimo smacco. E’ venuta fuori la verità, la mafia continua a vivere perché c’è una politica che più che a pensare a governare pensa a coccolare le mafie. La mafia a Roma è riuscita a fare quello che ha fatto per colpa proprio di chi ogni giorno ci ricorda, solo per stare bene sotto i riflettori, questa parola d’ordine. E allora probabilmente il ministro dell’Interno più che porre domande dovrebbe oggi dare lui per primo le risposte.