di Federica Tourn
Ieri sera, nella chiesa di Saint Joseph a Beirut, è stata celebrata una veglia per la liberazione di padre Paolo Dall’Oglio, a due anni dal suo rapimento a Raqqa, in Siria, oggi “capitale” dello Stato islamico. Anche papa Francesco, pochi giorni fa, aveva lanciato un appello per il rilascio del gesuita italiano, impegnato da anni nel dialogo interreligioso con il mondo islamico. “Abuna” Dall’Oglio era tornato nella Siria devastata dalla guerra proprio per cercare di favorire la liberazione di un gruppo di ostaggi, ed è stato rapito probabilmente da militanti vicini ad Al Qaeda. Un anno fa alcune voci avevano dato per certa la sua morte ma la Farnesina non ha mai confermato. Da sei mesi, comunque, la famiglia non ha più sue notizie.
La cerimonia, organizzata dall’associazione no profit Relief and Reconciliation, di cui padre Dall’Oglio è stato mentore, è stata l’occasione per sottolineare la grave condizione dei profughi siriani in fuga dalla guerra, che dura ormai da più di quattro anni. Soltanto in Libano i rifugiati sono ormai quasi due milioni, in un paese che conta poco più di quattro milioni di cittadini, in condizioni rese sempre più difficili dal “taglio” degli aiuti alimentari alle famiglie più bisognose, passato da 30 a poco più di 19 dollari al mese, e destinato esclusivamente ai nuclei senza la presenza di un uomo che possa lavorare. Anche se, di fatto, trovare un impiego, anche saltuario, è diventato sempre più difficile per tutti e proibitivo per chi non ha la cittadinanza.
Fonte: Riforma.it (foto: Stefano Stranges )