In Grecia vince il NO. Già, ma a che? All’austerità, all’euro, alla Merkel, ai sacrifici… Ognuno ha la sua analisi tascabile, ma quello che appare chiaro è il no alla banalizzazione bancaria della crisi greca. Il referendum di Atene ha rotto l’omertà europea sul tema della solidarietà. Senza la quale la UE si troverà presto davanti al rischio di perdere la Grecia e il suo stesso destino. Ma una “conversione federale” non sembra l’immediata conseguenza della ribellione greca. Che verrà sedata con “aiuti umanitari”, una soluzione ibrida tra fermezza e concessione
Diverso sarebbe invece lo scenario se al “no” della Grecia all’austerità si unissero i no di altre nazioni.
Allora la richiesta di un approccio di lungo periodo – cioè politico – alle crisi regionali farebbe emergere finalmente strumenti capaci di assorbire le sofferenze contabili, per superarle non con restrizioni recessive, ma con “piani di sviluppo” tarati sulle vocazioni territoriali.
Già, ma ci vorrebbe un Parlamento democraticamente dominante e una Costituzione che ne sancisse i valori. Istituzioni e identità che non si creano con fusioni a freddo nelle grandi sale conferenze, ma con la pressione bollente di sofferenze e aspirazioni di popolazioni mobilitate da politici lungimiranti.
Magari di Spagnoli, Portoghesi, Italiani e di tutte quelle nazioni che hanno patito la “libido adsentandi” dei propri governanti, propensi a dire sempre di sì a qualunque diktat, pur di ricevere il verdetto di “misure impressionanti” elargito dalla Merkel ai virtuosi dell’ubbidienza.
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