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“Spostarsi è un fatto normale e ciclico. Noi stessi siamo stati un popolo di migranti”. Intervista a Davide De Michelis

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Gli albanesi svaligiano i nostri appartamenti, i tunisini arrivano nel nostro Paese e portano via il lavoro agli italiani, i sudanesi ci invadono. E’ solo una parte degli stereotipi, frutto dell’ignoranza e dell’esasperazione per la crisi economica. Ma se ci documentiamo scopriamo che la realtà è ben diversa. Davide De Michelis è tornato su Rai3 con “Radici”, il venerdì in seconda serata. Il programma, l’altra faccia dell’immigrazione, quest’anno è il frutto di una produzione tutta interna alla Rai, grazie ad una convenzione fra l’azienda e il Ministero dell’Interno e ad un fondo della comunità europea.

Sbarchi in forte aumento, contrasti politici e un dibattito infuocato, polemiche con l’Unione europea. Gli ultimi dodici mesi, sul fronte dell’immigrazione sono stati roventi
Indubbiamente. Si è acuita una dimensione di emergenza perché i numeri dell’immigrazione sono aumentati e si è ampliata anche l’area dalla quale i migranti sono fuggiti; Libia, Sudan, Eritrea… Questo ha contribuito a dare una percezione del fenomeno come un vero e proprio esodo di massa.

E’ realmente così?
I numeri indubbiamente sono più alti rispetto allo scorso anno ma ci dimentichiamo spesso che le migrazioni sono un fenomeno fisiologico dell’umanità, iniziato praticamente millenni fa e che continuerà nei millenni a venire. Spostarsi è un fatto normale e ciclico. Noi stessi siamo stati un popolo di migranti. Lo siamo stati in modo massiccio nei decenni scorsi, poi via via il fenomeno si è ridotto. E negli ultimi anni abbiamo assistito alla cosiddetta “fuga dei cervelli” che è un altro aspetto dell’emigrazione.

La vostra trasmissione, come si evince dal titolo è un viaggio alla ricerca delle proprie radici. In quali paesi vi siete avventurati quest’anno?
Peru, Filippine e Repubblica Domenicana sono state alcune delle nostre tappe. Paesi che nel passato hanno conosciuto forti ondate di emigrazione ma nei quali i migranti stanno ritornando anche grazie ad un’economia che, soprattutto nei primi due, è cresciuta fino al sei per cento l’anno. A Lima ad esempio mi sono trovato davanti un centro della città così avveniristico che sembrava New York. Ovviamente senza dimenticare la forte sperequazione tra ricchi e poveri, una forbice in costante aumento.

C’è una storia umana o professionale che merita di essere raccontata?
Abbiamo conosciuto una ragazza di ventisei anni laureata in psicologia. Da tre anni lavora in una banca colombiana nella sede di Lima. La sua storia mi ha scioccato: è stata assunta a ventitré anni appena uscita dalla facoltà e sulla base del curriculum. Lei si occupa di selezione del personale, deve capire se un dipendente è nelle condizioni di poter fare uno scatto di carriera. Magari diventare dirigente di primo livello. E tutto questo a soli ventisei anni. In Italia bene che ti vada a quell’età la famiglia ti mantiene ancora gli studi…  Lei si occupa anche di visionare i curricula. Ne arrivano tanti dall’Europa ma non bastano per le necessità che hanno di personale nuovo. Per questo lei deve addirittura andare a cercare i profili professionali sul sito Linkedin. Non mi aspettavo di trovare storie di questo genere…

Siete stati anche in Tunisia, luogo di migrazioni massicce verso il nostro Paese negli anni scorsi. Che situazione avete trovato?
Ci sono molte tensioni, imperversano gruppi legati ai fondamentalisti. c’è stato l’attentato del Bardo e recentemente la tragedia di Sousse ma, sul fronte emigrazione rispetto al 2010-2011 e ai disordini conseguenti alla cosiddetta “Rivoluzione dei Gelsomini” la situazione è sicuramente cambiata. Dopo la caduta di Ben Alì c’è un governo abbastanza stabile e di partenze non ce ne sono quasi più.

In questi giorni si legge di italiani che sono sbarcati in Tunisia per lavoro. E’ così?
E’ proprio una delle storie che raccontiamo. Siamo stati in un villaggio che hanno ribattezzato “Paese dei carciofi” per la presenza massiccia di questi ortaggi. Camminavo per strada quando mi imbatto in un piccolo capannone in cui ripulivano i carciofi e lì c’era un italiano, Michele. E’ un imprenditore pugliese e ci racconta che uno dei suoi lavoratori, tunisino lo informò di questa produzione abbondante di carciofi nel suo Paese. Così lui si è recato lì ed ora fa import-export di carciofi. Li prende in Tunisia e li porta in Puglia per venderli.

Conoscere queste storie può servire come antidoto alla strisciante intolleranza e ignoranza che serpeggia sul tema immigrazione?
Assolutamente sì. La speranza è proprio quella. Per questo è importante parlare di alcune storie concrete. L’imprenditore italiano che grazie ad un tunisino che lavora nei suoi campi in Puglia scopre una nuova opportunità commerciale in Tunisia. O la signora albanese con cui abbiamo intrapreso uno dei nostri viaggi e che vive a Bergamo. E’ sposata con un albanese e hanno tre società che fanno pulizie in condomini e manutenzione del verde pubblico. Mi raccontavano che ancora oggi quando devono prendere un lavoro nuovo in un condominio qualcuno è perplesso sul fatto di dover dare le chiavi dell’androne a un albanese. Ma questo accade molto meno di alcuni anni fa. Oggi c’è più fiducia. Nel ’91, quando ci fu il massiccio sbarco degli albanesi in Italia le chiavi nessuno gliele avrebbe date.

Intervista di Stefano Corradino pubblicata sul Radiocorriere Tv


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