14 luglio 2015: un gruppo di pendolari esasperati dai continui disservizi sulla Roma-Lido scende sui binari interrompendo il servizio pubblico in segno di protesta, sfiancati dall’ennesima giostra di cambio treno, cambio binario, annuncio di ritardo, vetture senza aria condizionata con duemila persone stipate in condizioni disumane in veri e propri carri bestiame che rispettano ormai la frequenza media dei trenta/quaranta minuti (a volte anche cinquanta) di ritardo contro i sette (e dico sette) promessi in campagna elettorale.
Ma la tratta Roma-Lido non è nuova a questo genere di protesta. Era già successo in passato e non certo perché tutti i pendolari lidensi abbiano questa particolare bramosia di scendere sulle rotaie.
Basta navigare un po’ su internet che subito si trovano centinaia di articoli online, denunce, blog, dove vengono narrate le gesta della Roma-Lido sin dai tempi in cui ero ancora studentessa.
Si tratta di una linea molto vecchia, che collega la periferia al centro di Roma e come tale a volte dimenticata da chi si preoccupa principalmente di perfezionare la facciata del centro storico.
Nessuna periferia dovrebbe essere dimenticata.
Ma Ostia è il mare di Roma, Ostia è un quartiere di Roma sebbene disti da essa circa venticinque chilometri. Ostia ha raggiunto una popolazione di circa trecentomila abitanti, un terzo dei quali si muove ogni mattina per raggiungere il proprio posto di lavoro in diverse zone di Roma.
Ebbene, Ostia da qualche settimana è abitata da cittadini terrorizzati, umiliati, vilipesi che ogni mattina si apprestano ad una normale giornata di lavoro e di trasporto pubblico con la morte nel cuore, con l’angoscia di quello che potrà succedere nel viaggio della speranza.
Si vocifera di uno “sciopero bianco” di un gruppo di macchinisti che, protestando contro il mancato rinnovo contrattuale e i tagli orizzontali, si rifiuta di azionare macchine parzialmente integre, facendo circolare soltanto quelle perfettamente a norma e così, a fronte di un servizio già seriamente compromesso, le vetture effettivamente circolanti si sono quasi dimezzate.
Altri parlano di proteste manovrate a danno dei vertici aziendali o addirittura dei vertici capitolini, altri ancora ipotizzano una volontà di creare un tale disagio con il solo scopo di portare l’ATAC, la principale azienda municipalizzata del trasporto pubblico romano, ad un ovvio e “necessario” processo di privatizzazione.
Il risultato è che il servizio è al totale collasso.
A tre giorni dal gesto estremo dei pendolari scesi sui binari, il 17 luglio 2015, di nuovo tutti giù per terra. Ma stavolta non si sta sui binari a causa della protesta dei viaggiatori, ma perché si viaggia sull’ennesimo treno guasto. All’altezza di Vitinia, viene impartito il consueto ordine di scendere momentaneamente dal mezzo per consentire il ripristino e qui si scatena l’inferno.
Alcuni passeggeri si rifiutano di scendere, altri si avventano contro la cabina dei macchinisti. Uno in particolare pensa bene di esprimere il suo disappunto scagliando una sassata contro la stessa cabina: treno inservibile, arrivo dei Carabinieri, dirottamento sull’altro binario in attesa di un nuovo mezzo per Ostia.
Sull’altro binario il treno arriva, ma è già carico di pendolari ai quali si aggiungono, ovviamente, quelli sulla banchina.
Il treno riparte in condizioni ancora più disumane del solito (faccio fatica a pensare che sia possibile, ma al peggio no c’è mai fine) e fa caldo, talmente caldo, che un folle protagonista di un meraviglioso venerdì 17 di luglio pensa bene di forzare una porta aprendola con il treno in corsa.
Sembrano scene di un film dell’orrore, ma garantisco personalmente che è tutto vero.
L’ennesimo malcapitato treno, naturalmente, si ferma all’istante tra Acilia e Casal Bernocchi. La gente è in delirio, alcuni presi dal panico scendono sui binari senza sapere ancora che proseguiranno proprio lì il loro viaggio. Ed infatti, dopo circa un’ora di follia, arrivano i vigili del fuoco che aiutano uomini, donne, bambini, anziani e disabili a scendere dal treno per proseguire a piedi, a quarantadue gradi, sotto il sole e sopra le rotaie incandescenti, il loro viaggio della speranza.
Soltanto dieci giorni fa, il pomeriggio del 6 luglio 2015, la protezione civile distribuiva acqua agli utenti della Roma-Lido per gli stessi motivi.
Perché questi episodi sulla Roma-Lido non sono sporadici, ma stanno diventando normale amministrazione.
Siamo ai livelli della calamità naturale, della sciagura, con la differenza che qui la natura non c’entra proprio niente e le responsabilità sono tutte umane!
E poi ti capita di incontrare cinesi che strabuzzano gli occhi, rumeni che ci deridono perché tutto quello che nessuno oserebbe mai immaginare sulla Roma-Lido succede davvero.
Fino a qualche tempo fa gli altoparlanti intercalavano qui e là uno “scusate per il disagio”. Adesso non più. E per fortuna, aggiungo: sarebbe uno schiaffo all’intelligenza e alla dignità umana.
Venerdì sera, di fronte all’ingresso della stazione di Porta San Paolo (Piramide per gli utenti più avvezzi), c’erano sei auto della polizia.
Non è uno sciopero bianco. Non è uno “scusate per il disagio”. Non è una calamità naturale. Questa è un’odissea quotidiana. Anzi, è una guerra. Mai viste in prossimità di una stazione ferroviaria urbana tante forze di polizia. Mai vista la protezione civile chiamata per ben due volte in due settimane a distribuire acqua a normali pendolari.
Le biglietterie sono sempre chiuse, a tutte le ore, tranne qualche stazione, le più fortunate.
Gli ascensori sono sempre fuori servizio, le scale mobili un lusso. Peccato che i diversamente abili non la pensino proprio così.
Gli utenti sono stremati, esasperati, in preda al panico e purtroppo anche in preda alla follia e alla barbarie, come testimoniano i racconti sopra citati.
In queste giornate così afose, il vero miraggio per gli utenti della Roma-Lido è vedere un treno in arrivo all’orizzonte.
Ora basta. È giunto il momento che l’ATAC dia delle risposte.