Quando una legge è palesemente ingiusta, qual è il comportamento da tenere per rendere giusta la nostra azione? È un dilemma non da poco, me ne rendo conto. Hannah Arendt ci ha spiegato che in alcuni casi il male può annidarsi nello svolgere, banalmente, il compito assegnatoci, senza preoccuparci minimante delle conseguenze del nostro agire. Certo, quello era un caso limite, come estreme sono tutti le circostanze in cui la giustizia ha dimostrato che il giusto era nel non rispetto delle leggi (da quel processo a Gerusalemme di cui scrisse la Arendt e ancor prima da quelli a Norimberga fino all’ultima sentenza dei giudici di Lüneburg, che hanno condannato appena dieci giorni fa Oskar Gröning, perché quella follia non è poi così lontana nel tempo), ma è proprio nel limite che si spiega la validità di un principio.
E allora, io credo che Virginio Merola abbia fatto bene a ridare l’acqua a due fabbricati abitati “senza titolo” da centinaia di persone, a cui una disposizione contenuta nel Piano casa voluto dal governo Renzi e approvato dalla maggioranza in Parlamento prevede che debba essere tolta. Lo credo perché penso fortemente che quella norma e altre presenti in quel testo siano sbagliate, ma lo credo anche perché la giustizia non può essere l’applicazione di leggi che prevedono la perpetuazione di ingiustizie sugli uomini, le donne e i bambini.
Per quell’ordinanza, ora il sindaco di Bologna è indagato. Certo, ma questo accade quando si combattono, anche con giuste ragioni, leggi che però sono ancora in vigore. Il suo partito politico in città lo difende, è fa bene; a far male è stato il suo partito politico al governo nazionale, che una simile legge l’ha definita. E non c’entra affatto l’essere a favore dell’occupazione abusiva di uno stabile di quanti non hanno altri modi per garantire un tetto a sé stessi e ai loro cari, perché su questo punto il primo cittadino bolognese s’è sempre detto contrario. No, c’entra il rispetto della vita e della dignità degli esseri umani, perché è di togliere l’acqua a persone vive quello di cui stiamo parlando e che quella legge impone di fare.
Sì, immagino l’obiezione: “ma se è così, chiunque pensi che una norma sia sbagliata, si sentirà in diritto di non osservarla”. E no, non è così. Perché qui stiamo parlando di giustizia, non di semplice errore. È la vecchia e mai risolta contrapposizione fra Antigone e Creonte, che non nasceva da una contravvenzione per divieto di sosta, ma da qualcosa di ben più fondato, come la questione dei diritti, appunto. La banalizzazione del “quindi non pago il bollo dell’auto perché è ingiusto che la mia vecchia familiare costi quanto una nuovissima sportiva”, non regge. Perché quella parità di esazione è al massimo sbagliata, ma la giustizia, intesa come quel sentimento che si applica alla morale e quindi alle persone, non c’entra affatto. Inoltre, estremizzazione per estremizzazione, dire che “la legge va sempre rispettata”, significa dar ragione a chi, nei processi citati all’inizio, giustificava le proprie nefandezze con un candido: “io eseguivo solamente degli ordini”.
E se cercate il discrimine fra il giusto e l’ingiusto, sappiate che non potrete trovarlo nelle leggi, che sono un prodotto dei tempi, non delle verità assolute. È dentro di noi che vanno cercate quelle categorie, e nell’immaginare cosa comportino e comporterebbero le nostre azioni, anche quando esse siano nella piena osservanza ed esecuzione delle norme e delle convenzioni. In questo sta la responsabilità di ognuno, in questo sta la giustezza del comportamento del sindaco di Bologna, che viola la legge per fare la cosa giusta.