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La Rai in Senato. Diario di una non riforma. Primo giorno, martedì 21 luglio

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Alle 11 per la prima volta il gruppo del partito di maggioranza relativa si riunisce per discutere della Rai. A babbo morto, spiega Massimo Mucchetti. In effetti i giochi sembrano ormai essersi chiusi, il governo ha fatto la sua proposta, l’ha modificata in commissione tenendo conto delle obiezioni e degli interessi di parte dell’opposizione, quella nazarena per intenderci. Ora che il provvedimento è pronto è molto più difficile intervenire. Sarebbe stato necessario -dice Mucchetti- che il coinvolgimento e il dibattito ci fossero stati nella fase ascendente, quando si trattava di scrivere la legge. Mentre parla Massimo, arriva la conferma degli 800 emendamenti presentati dalla Lega. Anche per la Rai si corre il rischio che il governo ricorra al voto di fiducia.

Ore 12, invitati dal gruppo di Sinistra Ecologia e Liberta, il segretario del sindacato giornalisti e quello dei giornalisti della Rai tengono una conferenza stampa in Senato.  Ammettono di essersi mossi in ritardo -perché ci siamo illusi, spiega Di Trapani, che bastasse  portare le nostre tesi in commissione-, chiedono di sospendere l’esame della legge e di avviare un confronto per riscriverla nel mese di agosto. Torna nel dibattito, aperto dalla conferenza stampa, la posizione già espressa da Giulietti: questa è una non riforma. Una non riforma che rafforza ulteriormente la presa del governo sulla Rai, con una torsione insieme dirigista e aziendalista. Si passa, ad esempio, dal Direttore Generale all’Amministratore Delegato, nominato sempre dal governo, ma con in più il diritto di voto in Consiglio e che -fatto questo assai curioso- sarà  l’unico dirigente della Rai nominato non sulla base della presentazione di una candidatura e di un curriculum messo per tempo a disposizione del Parlamento e della pubblica opinione.

Alle 16,30 dibattito generale in aula, con 9 scranni su 10 tristemente vuoti. Provo a intervenire anch’io. Parto da quello che nella legge c’è: due deleghe importanti, una che affida al governo l’ultima parola sulle risorse Rai, la seconda che gli consente di riscrivere le regole sull’intero sistema televisivo. Con la prima delega il governo può aprire o chiudere il rubinetto delle risorse e quindi controllare l’azienda concessionaria del servizio pubblico.  Può persino ridimensionarla come azienda, senza l’onere di proporre una sua idea di rilancio, semplicemente attendendo che la Rai si adegui alle (minori) risorse che il governo trasmette. La seconda delega permetterà al governo di sedersi al tavolo con la dirigenza di Sky e Mediaset. Non è dato sapere con quali intenzioni. É infatti normale (visti i costi, i rischi, e gli utili meno appetitosi di un tempo) che questi due network tendano a costruire un nuovo duopolio privato-privato. Ma proprio per questo il parlamento dovrebbe dare degli indirizzi, dettare regole. Niente, la palla è al governo. Proverà a regolare il sistema o accompagnerà desideri e interessi dei due colossi televisivi in cambio di una maggiore influenza politico mediatica? A pensare male…

La seconda osservazione riguarda il rapporto Rai Politica.  In parte ne ho scritto ieri, ma in aula ho fatto un esempio che può essere utile qui riproporre. Immaginate -ho detto- un direttore di rete o testata che fosse nominato dopo l’approvazione della legge. Dovrebbe innanzitutto rispondere all’Amministratore Delegato che lo ha scelto e che, a sua volta, è stato scelto dal governo. Ma poi avrebbe sopra la testa un Consiglio di nomina politica (4 componenti di maggioranza, 2 di minoranza e 1 in rappresentanza dei dipendenti). Sopra il Consiglio un altro organo politico: resta infatti la Commissione Parlamentare di Vigilanza (con il potere, fra l’altro, di perfezionare la nomina del presidente della Rai con una maggioranza dei 2/3). Infine c’è l’Agcom, altro organo politico. 4 istituzioni della “politica” sulla testa di quel direttore .

Francamente a questo punto sarebbe da preferire – ho detto- che si lasciassero tutti i poteri al governo, all’amministratore delegato mantenendo come organo di controllo e garanzia solo l’Agcom. Perché una dialettica più chiara, tra gestore e controllore, potrebbe alla fine rivelarsi meno soffocante che questo pletora di controllori che controllano i controllori e tutti siedono sulla testa del professionista che dovrebbe autonomamente  creare programmi innovativi o fare buona informazione. Una provocazione. Ma così come sono messe le cose, o si sfida Renzi anche “da destra” o si accetta di farsi asfaltare.

Dimenticavo, ho proposto qualche emendamento tratto, tale e quale, dal testo della legge presentata da Gentiloni due legislature fa: fondazione per la Rai solo in parte di nomina politica, e consiglio di gestione, nominato dalla Fondazione, e pienamente responsabile sul piano operativo. Tanto per chiedere come mai quello che andava bene ai “renziani”, sia pure ante litteram, non va più bene ora che Renzi siede a Palazzo Chigi. (continua…)


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