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La Chiesa e Internet – Recensione

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Continua la collaborazione con Marco Dal Pozzo. Questa volta Dal Pozzo recensisce il testo “La Chiesa in Internet. La sfida dei media digitali” di Rita Marchetti dell’Università di Perugia. 

La Chiesa ha saputo cogliere le nuove opportunità offerte dalla Rete, comprendendo bene che la reazione alla despazializzazione e relativa deistituzionalizzazione che hanno riguardato un po’ tutte le istituzioni sociali, non si poteva esplicitare se non con linguaggi e contenuti nuovi, senza però per questo snaturare il suo messaggio originario.

La Chiesa è quindi riuscita ad entrare in Rete affiancando alla scontata missione di rafforzare ciò che esisteva già offline (la Parrocchia), quella di scoprire e vivere i nuovi ambienti e le nuove anime dell’universo digitale.

È così che la Chiesa è riuscita a reistituzionalizzarsi, a conquistare cioè “il nuovo spazio” diventando altro o, forse meglio, aggiungendo altro a ciò che già era. A rendere possibile un simile passaggio sono stati i parroci con una azione concreta sui territori, allargati dalle Reti Sociali Online, e sulle persone. A fare gioco sono state tanto l’apertura delle gerarchie quanto una straordinaria propensione proprio dei parroci a guadagnare web reputation, una “nuova” autorità altrimenti destinata ad estinguersi

Queste, in sintesi, le risultanze della ricerca di Rita Marchetti, docente di Teorie e tecniche dei media digitali dell’Università di Perugia, “La Chiesa in internet – La sfida dei media digitali”; un libro che presenta i dati di una indagine pluriennale e, con essi, delle chiavi di lettura e punti di vista che stimolano riflessioni anche su ambiti diversi da quelli specifici oggetti dello studio. La lettura di questo libro, infatti, può essere – per me è stato così – anche un interessante percorso di analisi comparativa tra ciò che è riuscita a mettere in atto la Chiesa (non dimentichiamoci delle zone d’ombra, però!) e ciò che, di contro, altre istituzioni non sono state ancora in grado nemmeno di capire. E’ con questo approccio che mi piace ripercorrere i passaggi salienti dell’opera.

La Chiesa e Marshal McLhuan – Il percorso della Chiesa verso l’accettazione consapevole del mondo delle comunicazioni ha subito una evidente e scontata accelerazione con gli ultimi tre Papi. A fare scalpore è stata senza dubbio l’apertura del profilo Twitter del Papa nel pontificato di Benedetto XVI (Dicembre del 2012); ma è di venti anni prima, del 1990, la lettera enciclica Redemptoris Missio (siamo nell’era di Giovanni Paolo II), un documento di fondamentale apertura. In essa si legge: “Il primo aeropago del tempo moderno è il mondo della comunicazione, che sta unificando l’umanità intera rendendola – come si suol dire – “un villaggio globale”. Due anni più tardi, in Aetatis Novae, si dice che “i media hanno la capacità di pesare non solo sulle modalità, ma anche sui contenuti del pensiero”. E’ evidente, quindi, come la Chiesa – anche se con tempi di reazione non esattamente da centometrista; ma quali altre istituzioni sono state così solerti? Penso per esempio alle organizzazioni politiche e agli attori del mondo dell’informazione – abbia abbracciato l’analisi e gli approcci teorizzati e suggeriti da uno dei maggiori studiosi di mezzi di comunicazione, Marshal McLuhan (il “villaggio globale”, “il mezzo è il messaggio”).

La Chiesa: ascolto e conversazione online – “Quando si naviga in rete, le comunità fisiche con le loro tradizioni che preesistono al web non scompaiono ma, al contrario, rappresentano la chiave di lettura per la comprensione sociale e forniscono le pratiche mediante le quali si sviluppano le interazioni anche nel nuovo contesto mediato dal computer. Secondo Baym – continua Rita Marchetti nel capitolo Gerarchie e struttura ecclesiastiche alla prova della rete – il mondo offline influisce sugli argomenti, sui modi in cui vengono discussi, sull’etica che viene seguita nelle discussioni online […]”. La Chiesa, rispetto a tante altre istituzioni, aveva il “vantaggio competitivo” delle reti parrocchiali ma senza buoni interpreti e senza l’apertura – lenta, faticosa, ma alla fine efficace – dei vertici una integrazione così forte sarebbe stata impossibile. Stupisce, almeno dalla mia personale prospettiva, quanto naturale sia stato per i parroci stabilire contatti anche sulla base di argomenti non propriamente religiosi: un passaggio fondamentale per intercettare il target che l’analisi ha mostrato essere quello più problematico: quello dei giovani. Alcuni anni fa Mafe De Baggis parlava di Social Object, intendendo con ciò il fulcro di un interesse comune intorno al quale bisognava far ruotare la “conversazione sociale” tra chi aveva qualcosa da dare e chi, dall’altro lato, aveva qualcosa da chiedere: beh, i parroci stanno giocando benissimo questo ruolo. O almeno così sembra dai dati messi insieme dalla Professoressa Marchetti.
Anche qui viene facile la domanda: quali altre istituzioni l’hanno capito? Quali altre istituzioni sono scese dal pulpito dal quale hanno sempre parlato per ascoltare quello che vecchi e nuovi interlocutori avevano e hanno da dire? Non è forse vero che in tanti continuano a dare vecchie risposte a domande che si sono fatte più nuove? E, d’altra parte, non è forse un grosso imbroglio quello che vede le istituzioni disfarsi dei propri valori fondanti pur di accontentare una domanda tante volte non consapevole ma emotiva, fragile e figlia della disgregazione dei valori da cui quelle stesse istituzioni provengono?

La Chiesa nella Società Liquida – Non è stato sicuramente facile per gli interpreti del messaggio religioso recuperare la disgregazione di valori e di distanze prodottesi nella società e, di riflesso, in una delle sue tantissime sfaccettature, la Chiesa per l’appunto. D’altra parte, lo si è detto, la Chiesa è partita potendo contare su una organizzazione sufficientemente forte offline da poterne guidare la riorganizzazione (reistituzionalizzazione) di spazi e messaggi.
Quando Zygmunt Bauman (che Rita Marchetti richiama nel suo argomentare) parla di liquidità, fa riferimento alla disgregazione dei valori che hanno sempre tenuto ben saldi i rapporti tra le persone in una logica di comunità (intesa alla Tonnies, cioè dominata dalle parentele e da vincoli morali che producono una certa omogenieità di comportamento). L’analisi Baumiana, però, mi ha sempre lasciato perplessità sul ruolo della Rete. Se, da un lato, è inevitabile dare ragione al sociologo polacco quando dice che la mediazione tecnologica ha agevolato l’impostazione soggetto-oggetto delle relazioni (impostazione con cui si cerca di combattere la paura e l’incertezza che caratterizzano la società liquida; si veda ad esempio “Lo spirito e il clic. La società contemporanea tra frenesia e bisogno di speranza” di Zygmunt Bauman con l’introduzione di Riccardo Mazzeo); dall’altro non si può negare che la tecnologia abbia agito e stia agendo come tampone ad una deriva che, altrimenti, avrebbe potuto portare ad una completa rottura nelle comunità e delle comunità.
Questa rottura, se in gioco ci sono i valori della Chiesa, non sembra essere avvenuta e il merito degli attori ecclesiastici è stato quello di iniziare un percorso costitutivo di società in cui, cioè, continuando ad usare il formalismo di Tonnies, il valore fondante è diventato la relazione interpersonale, non più vissuta come soggetto-oggetto. Ecco, io vedo quello intrapreso dai parroci come un percorso verso la ricostituzione delle comunità fatte in un nuovo ambiente (i Social Network) e con nuove persone, quelle con cui si è saputo condividere anche nuovi Social Object, per evocare nuovamente Mafe De Baggis.

La Chiesa e il Filter Bubble – E’ un argomento da indagare. La questione che pongo è: quanto è forte, anche in ambito religioso, l’effetto Filter Bubble? Quali sono i pericoli che si corrono, insieme con quelli così ben descritti da Eli Pariser nel suo saggio, quando l’oggetto è di tipo religioso, è la spiritualità? Quanto può la logica dei filtri viziare il percorso spirituale di chi si ritrova a fare – magari non sempre per una scelta consapevole – questo viaggio lontano dalla “parrocchia fisica”? La richiesta di spiritualità, intesa come richiesta di tempi e modi per ragionare su quello che ci accade intorno, rischia seriamente di non trovare risposte in un mondo – quello vissuto online – che Pariser ci ha dimostrato essere molto meno vero di quello che noi crediamo (“renderci la vita comoda significa rinunciare alla realtà” dice infatti ancora Bauman nel libro precedentemente citato).
Ecco quindi che la figura del parroco tracciata da Rita Marchetti sembra essere una buona guida, un buon antidoto al filtro: egli è un operatore disinteressato e fermo nei suoi principi: siamo lontani quindi da Google, Amazon e Facebook, intesi come SpA.
Tornando ancora a considerazioni comparative, quanto disinteresse e quanta fermezza nei principi ci sono nei moderni “sacerdoti della politica e dell’informazione” che dovrebbero allontanarci dal filtro che ci autocostruiamo nel percorso, questa volta laico, di comprensione dei fatti? Quanto, invece, tali sacerdoti sono in qualche modo “complici” di quelle SpA o, almeno, a tali SpA affini in quanto all’uso di fraudolenti pratiche persuasive atte ad ottenere consenso (voti o click a seconda dei casi)?

La riflessione finale, che lascio aperta perché merita un approdonfimento, è – quindi – su quanto forti siano ancora i valori laici su cui dovrebbero fondarsi le istituzioni politiche e del sistema informativo. Se la Chiesa ha potuto fare il percorso che ha fatto è stato perchè i suoi valori erano forti e radicati (lo devo ripetere: non si trascurino le orribili storture!). Chiedo, quindi: cosa hanno perso per strada e perché le altre istituzioni? Io penso soprattutto a quelle della politica e dell’informazione ma è evidente che il ragionamento le riguarda un po’ tutte.

Da lsdi


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