Inutile e costoso: dopo le esternazioni del ministro Orlando, i tempi sembrano maturi per l’abrogazione di quella che è stata considerata una misura “propagandistica”. Savio (Asgi): “Ci si trova nella situazione di fare processi a persone inesistenti, che nel frattempo sono andate vie dall’Italia”
ROMA – “Inefficace, con una capacità limitata, se non nulla, di deterrenza”. Con queste parole in Commissione Affari costituzionali al Senato, il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha spiegato perché a breve sarà abolito il reato di clandestinità, come già deliberato dal Parlamento un anno fa. I tempi sono maturi, infatti, perché quella che da più parti è da sempre stata considerata una misura solo “propagandistica e ideologica” venga definitivamente abrogata. La cancellazione rientra tra i provvedimenti previsti nella legge delega sulle “pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio”, già approvata. Nelle scorse settimane è statacompletata anche la redazione del decreto delegato che dà attuazione alla delega. Ora manca solo l’ultimo step, ma come ha spiegato il ministro, le intenzioni del Governo sono chiare: “L’abrogazione del reato di immigrazione clandestina non solo comporterà un risparmio di risorse, giudiziarie e amministrative – sottolinea Orlando -, ma produrrà anche effetti positivi per l’efficacia delle indagini in materia di traffico di migranti e favoreggiamento all’immigrazione clandestina”.
Entrato in vigore nel 2009 per volontà dell’allora ministro dell’Interno Roberto Maroni, il reato di clandestinità è da sempre uno dei provvedimenti più contestati in materia di immigrazione. In particolare l’Asgi, l’associazione studi giuridici sull’immigrazione, ne chiede da tempo l’abolizione. considerandolo nei fatti un “reato inutile” perché punisce la condizione di irregolarità nell’ingresso e/o nel soggiorno all’interno del territorio dello Stato con una pena pecuniaria da cinquemila a diecimila euro. Una contravvenzione dunque, e non un delitto, che non rende possibile applicare alcuna misura cautelare (la denuncia è a piede libero). “Ci si trova nella situazione di fare processi a persone inesistenti, che nel frattempo sono andate vie dall’Italia – spiega Guido Savio, membro del Consiglio direttivo dell’Asgi – Nei casi in cui ci sia una condanna, poi, lo Stato non riesce mai a recuperare le somme dovute perché spesso i dati anagrafici del migrante non sono corretti ma soprattutto perché normalmente gli irregolari non hanno un conto in banca né un regolare rapporto di lavoro”. Il paradosso, però, è che per portare avanti la denuncia vengono impiegate somme consistenti. “Praticamente lo Stato ci rimette e basta – continua Savio– perché spende dei soldi per la procedura, dalla comunicazione del reato alla procura della Repubblica, alla richiesta di citazione, fino all’udienza e alla nomina di un avvocato di ufficio. Tutto questo per un processo inutile perché alla fine lo Stato non recupera ma ci perde, sia economicamente sia perché impiega risorse della pubblica amministrazione, e mette in piedi una macchina burocratica, che potrebbe invece occuparsi d’altro”.
Secondo l’Asgi chi si oppone alla cancellazione lo fa solo per fini ideologici. “Il cosiddetto clandestino non è messo in galera, ma riceve un’ammenda. E’ quindi una misura di assoluta inutilità – afferma – solo ideologica. Fu fatta per contrastare la normativa rimpatri dell’Unione europea, che prevede di privilegiare le partenze volontarie ai rimpatri forzati. La direttiva dice che nel caso di rischio di fuga, o se si determinano altre situazioni di pericolo, gli stati posso procedere con un’espulsione coattiva. Inoltre la norma non si applica se l’ espulsione è conseguenza di una sanzione penale. Siccome il giudice, può sostituire l’ammenda con l’espulsione, a quel punto il provvedimento risulterebbe conseguenza di una sanzione penale, e la direttiva rimpatri verrebbe aggirata. Insomma l’obiettivo dell’Italia, come ammise lo stesso Maroni, era avere le mani più libere per operare i rimpatri”. Nei fatti però la misura a tutt’oggi è del tutto inapplicata, soprattutto nelle grandi città, “perché ingolfa inutilmente l’amministrazione della giustizia – aggiunge Savio – solo nelle sedi giudiziarie di provincia, che sono più piccole, ci risultano dei casi. Ma ormai è solo un reato barzelletta in cui non crede più nessuno. Il governo entro novembre deve esercitare la delega, auspichiamo si decida a cancellare questa misura, che in realtà non avremmo dovuto mai neanche pensare”. (ec)