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“I rom dell’Europa dell’Est scappano da razzismo e povertà”

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[Traduzione a cura di Luciana Buttini dall’articolo originale di Will Guy pubblicato su openDemocracy.]

Nel 2007, dopo che la Romania e la Bulgaria sono entrate nell’UE, l’arrivo in Italia e in Francia di molti rom provenienti soprattutto dalla Romania ha provocato scatenate reazioni politiche e dei media. In Italia quest’emigrazione ha avuto come conseguenze scontri tra i Comuni, demolizione delle baraccopoli alla periferia di alcune città e l’emanazione di un decreto legge a firma di Romano Prodi, all’epoca presidente del Consiglio. In Francia il fenomeno ha invece portato a un’accesa disputa tra l’ex presidente francese Nicolas Sarkozy e Viviane Reding, allora vice presidente e commissario per la Giustizia, Diritti fondamentali e Cittadinanza alla Commissione Europea: un confronto senza precedenti tra un membro fondatore dell’UE e la Commissione.

Sarkozy ha accusato le autorità rumene di chiudere un occhio su ‘questo traffico’ mentre la Reding ha criticato i piani francesi di espellere i migranti rom, piani che si riteneva violassero il diritto fondamentale di libertà di movimento dei cittadini europei. Una ricerca di ONG francesi tra i migranti rom ha rivelato che la stragrande maggioranza di essi non era legata a dei traffici ma era arrivata in Francia volontariamente.

Sarkozy non è l’unico politico a sostenere che l’emigrazione rom sia legata al ‘traffico di persone’, perché anche in Paesi come Canada, Italia, Finlandia sono state lanciate accuse simili. Eppure, complessivamente, i rom provenienti da Paesi dell’Europa centrale e orientale (CEE)  hanno adottato la stessa strategia di molti loro concittadini non rom, ovvero emigrare verso l’Europa occidentale in cerca di migliori opportunità di lavoro. Infatti la Bulgaria – lo Stato più povero dell’UE – è il caso più estremo in quanto ha assistito  all’emigrazione del 10% della popolazione economicamente attiva e alla perdita complessiva del 18% della popolazione tra il 1992 e il 2012.

Le cause dell’emigrazione

I rom ricorrono all’emigrazione verso i Paesi della CEE perché le loro comunità emarginate subiscono una profonda povertà strutturale. Studi dettagliati e preoccupanti da parte dell’Agenzia dell’Unione Europea per i diritti fondamentali (FRA), del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP) e della Banca Mondiale (ad esempio in materia di alloggi e sanità) rivelano infatti la continua discriminazione e l’aggravarsi delle condizioni in termini di impiego, condizioni di vita e salute. Nel 2011, circa il 90% degli intervistati nella CEE e in altri Paesi possedeva un reddito al di sotto della soglia nazionale della povertà, e circa il 40% dei bambini che viveva in famiglia lottava contro la malnutrizione o la fame. Oltre la metà degli intervistati viveva in zone isolate in abitazioni che si trovano ben al di sotto degli standard minimi abitativi. Un rapporto FRA del 2009 ha dedotto che “la povertà e il razzismo sono i fattori principali ‘che spingono’ i rom a lasciare i loro Paesi d’origine“.

Sebbene alcuni rom possano essere stati costretti a emigrare e poi siano stati sfruttati nei loro Paesi di destinazione, uno studio del 2009 ha affermato che non era questo il caso per la stragrande maggioranza dei migranti rom della CEE che raggiungono l’Europa occidentale. Il quando e il dove è avvenuto lo sfruttamento, a prescindere dal fatto che sia stato preceduto o no da un’organizzazione forzata, in termini qualitativi non è risultato diverso dalle pratiche che coinvolgevano i gruppi non rom. Ciononostante, lo studio ha rivelato che i rom sono più vulnerabili a tale abuso rispetto alle altre etnie.

A partire dal 2007, un elemento significativo che ha portato all’emigrazione dei rom, è stato il  drammatico aumento di reati e discorsi violenti motivati dall’odio in alcune parti d’Europa. Sebbene i rom non siano le uniche vittime, essi rappresentano l’obiettivo principale nei Paesi della CEE. L’esempio più estremo è quello dell’Ungheria: nel 2007 solo 24 rom ungheresi hanno chiesto asilo in Canada, mentre questo numero, nel 2011, è passato a 1.900 in seguito a una serie di omicidi, aggressioni e attacchi dei media che miravano a colpire le comunità rom.

Spesso i politici tradizionali fanno spiacevolmente ricorso all’odio razziale per ottenere voti alle elezioni, sfruttando cinicamente lo spazio creato dal discorso razzista degli estremisti. Sebbene questi politici in generale siano più cauti nell’uso delle parole, trasmettono comunque messaggi simili in forma codificata, come il fatto di sostenere che i danni all’economia siano stati causati dalla dipendenza dai sussidi sociali.  Per esempio, nel 2012 il primo ministro ceco ha dichiarato che “lo Stato non aiuta i parassiti che abusano dei sussidi sociali“, tuttavia perfino i politici tradizionali possono essere duramente schietti. Un ex sindaco ceco è stato eletto al Senato dopo aver cacciato via le famiglie rom dalla sua città, e con orgoglio ha descritto questo come “la rimozione di un’ulcera“. Ben presto è diventato vice Primo Ministro e, dopo aver costruito una carriera politica basata sulla discriminazione razziale, è stato eletto presidente della sottocommissione del Senato per i diritti umani e le pari opportunità.

La storia della persecuzione

L’ostilità nei confronti dei rom non è nulla di nuovo. Infatti, da quando più di sei secoli fa sono arrivati in Europa dall’India attraverso il Vicino Oriente, hanno subito persecuzioni e discriminazione. Alcuni gruppi più piccoli sono emigrati nell’Europa nordoccidentale e molti dei loro discendenti sono rimasti in gran parte nomadi. Nonostante i loro contributi alle economie locali sono stati considerati come vagabondi inattivi e indesiderati. Nei paesi della CEE l’esperienza dei rom è stata completamente diversa. Infatti, li hanno fatti stabilire nella regione, e con la forza sono stati sfruttati per la loro forza lavoro. In Romania la loro schiavitù è durata più di 300 anni, ed è finita solo verso la metà del diciannovesimo secolo. Un sociologo rumeno, Nicolae Gheorghe – egli stesso un discendente di schiavi rom – ha scritto testi su come tutto questo abbia determinato la loro identità, nella misura in cui “in rumeno il termine tigan [Zingaro] fosse l’equivalente di rób [schiavo]“. Furono segregati in case e campi per gli schiavi, così come avveniva negli Stati schiavisti del Nord America per i neri, e le loro pelli scure li identificavano in modo chiaro come una casta distinta e stigmatizzata.

Fino alla Seconda guerra mondiale la maggior parte dei rom della CEE ha vissuto un’esistenza da paria in insediamenti rurali, segregati o in ghetti urbani. Tuttavia, con la recente instaurazione dei regimi comunisti della CEE cominciarono a essere visti come potenziali lavoratori, da inserire entro le strutture economiche basate sul forte sfruttamento della forza lavoro. I rom furono principalmente reclutati come lavoratori non qualificati ma, dopo il 1989, divennero vittime della ricostruzione economica del periodo post comunista. Furono i primi a perdere il proprio impiego e gli ultimi ad essere reimpiegati e presto tutto questo ha provocato la dipendenza di molte famiglie dai sussidi sociali. Questo ha alimentato un crescente risentimento nella maggior parte della popolazione che vedeva i rom come degli sfaticati e credeva che fossero anche stati ingiustamente avvantaggiati durante l’era comunista. Quando poi emersero i gruppi neonazisti, i rom rappresentarono l’obiettivo principale dei loro attacchi verbali e fisici; così e durante questo periodo molti di loro furono assassinati.

Un’integrazione diffidente

La continua emarginazione delle popolazioni rom ha rappresentato fin dall’inizio una difficile sfida all’allargamento dell’UE, dal momento che uno dei criteri per l’adesione all’Unione era “il rispetto delle minoranze“. Malgrado i programmi sovvenzionati dalla Comunità europea per promuovere l’integrazione dei rom nei Paesi candidati, la situazione di queste comunità era a mala pena migliorata dal momento della loro adesione. La successiva vasta ondata migratoria dei rom dai nuovi Paesi verso i vecchi Stati membri ha aumentato fortemente la pressione sull’UE a trovare una soluzione.

In risposta, la CE ha richiesto a tutti gli Stati membri di elaborare strategie nazionali per l’integrazione dei rom, sovvenzionate con i fondi strutturali dell’UE. L’obiettivo è quello di migliorarne l’integrazione entro il 2020 offrendo loro un futuro migliore nei rispettivi Paesi d’origine. Tuttavia il clima d’austerità in seguito al tracollo finanziario degli anni 2007-2008 presenta un contesto difficile per le iniziative di integrazione sociale. Non è difficile capire perché i massicci investimenti necessari per migliorare la situazione dei rom siano difficili da far accettare alla maggior parte delle popolazioni, generalmente ostili in un periodo di diffusa difficoltà economica. Questo spiega in parte l’uso estremamente limitato dei fondi disponibili dell’UE a favore dei rom da parte dei Paesi CEE, soprattutto da quando gli Stati devono versare una quota all’Unione. Perciò non sorprende sapere – come alcuni attivisti riportano – che i contributi da parte dei migranti che lavorano nell’Europa occidentale hanno fatto molto di più per trasformare le comunità dei rom in Romania rispetto a qualsiasi altro progetto di integrazione finanziato dall’UE. Con poche eccezioni, la volontà politica di adottare tali misure è stata sempre scarsa tra i leader nazionali della CEE. Inoltre la CE ha ben poche possibilità di affrontare questi uomini politici poiché sono membri del Consiglio Europeo – l’organo più potente nell’Unione europea.

I politici dell’Europa occidentale criticano spesso i governi della CEE di non fare abbastanza per fermare l’emigrazione dei rom, ma non riescono a riconoscere il grado di persistente razzismo che affligge la regione a tutti i livelli. In modo ipocrita non riescono nemmeno ad agire per contrastare la discriminazione razzista nei confronti dei rom, i zingari e nomadi nei propri Paesi.

Da vociglobali


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