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“Giù le mani dai salari”, sabato primo sciopero nazionale dei lavoratori Ikea. Intervista a Giuliana Mesina (Filcams Cgil)

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Per la seconda volta nel giro di un mese, i lavoratori Ikea diranno “no” al colosso svedese del mobile low cost che intende tagliare i salari e  le maggiorazioni per i festivi e le domeniche agli oltre 6000 dipendenti dei punti vendita italiani. La prima volta, il 6 giugno, i lavoratori hanno presidiato gli ingressi degli store contro la decisione aziendale di disdire unilateralmente il contratto integrativo. Un’iniziativa pesante per un’azienda che da sempre impronta il suo branding  alla responsabilità sociale. Ma i riflettori adesso sono puntati sulla giornata di sabato quando, per la prima volta, si terrà uno sciopero nazionale di tutti gli addetti. Con un’adesione che si preannuncia pressoché totale.
“Quando è arrivata in Italia, un quarto di secolo fa, Ikea aveva un solo negozio. Oggi ne ha 25 ed è presente in ogni parte del paese”, spiega Giuliana Mesina (Filcams Cgil). “Tutto questo è stato reso possibile grazie al contributo e alla partecipazione dei lavoratori ma anche ad una visione aziendale basata, o almeno così credevamo, sulle best practices, sulle pari opportunità, sul rispetto delle persone, sul richiamo ai grandi temi etici e ai diritti civili di cui spesso Ikea si è fatta testimonial. Un modello virtuoso che da qualche tempo è entrato in crisi e che, nell’ultimo mese, con l’intenzione dell’azienda di intervenire sui salari, ha subito un colpo gravissimo anche in termini di immagine”.
Cosa contestate, in particolare, all’azienda?
L’azienda ha manifestato la volontà di tagliare i costi rendendo variabile (e dunque incerto)  il premio aziendale legato all’anzianità di lavoro . E ancora: l’azienda intende  tagliare in modo lineare le maggiorazioni per il lavoro festivo e domenicale. Significa, per esempio, che chi sacrifica la Pasquetta o le domeniche per andare a lavorare guadagna come fosse un giorno normale. Tutto questo ha un impatto devastante sulla vita dei lavoratori  che già vivono una condizione di grande fragilità essendo per il 70 per cento assunti con contratti part-time. E poi c’è un terzo punto.
Quale?
L’introduzione del cosiddetto “Ikea Bonus Program”, che trasforma il premio di partecipazione in un bonus legato alla produttività definito a livello globale e senza alcuna forma di consultazione dei lavoratori.
Quanto perderebbero i lavoratori se le scelte aziendali fossero confermate?
Non amo dare i numeri ma possiamo stimare una perdita di qualche centinaio di euro all’anno dalla busta paga di ciascun lavoratore.
Cosa possono fare i consumatori per sostenere la vostra battaglia?
Intanto esercitare  il proprio spirito critico. Nessuno chiede di non andare a fare acquisti da Ikea ma compete anche ai cittadini e ai consumatori chiedere chiarimenti all’azienda. Chiedere, per esempio, se il principio e lo slogan cui si ispirano la storia e il business dell’azienda, e cioè “migliorare la vita di tutti”, valgano anche per chi là dentro lavora. Il mio invito ai consumatori, per la giornata dello sciopero nazionale di sabato, è quello di essere coerenti nelle scelte di consumo, che sono anche quelle un atto politico, e di sostenere le nostre iniziative.
Come vi state preparando alla giornata di sabato, ai presidi e allo sciopero?
Faremo i presidi con allegria, coinvolgendo i clienti che vorranno unirsi a noi e alle nostra ragioni. Non abbiamo grandi mezzi, non abbiamo agenzie di comunicazione, non abbiamo media compiacenti e anzi paghiamo il tentativo di oscurare la nostra battaglia. E’ la lotta di Davide contro Golia. Ma, come già abbiamo fatto l’altra volta, metteremo in campo tutte le nostre capacità, la nostra intelligenza collettiva. Anche sul web, un “territorio” con cui cominciamo a confrontarci con discreti risultati. E infine daremo spazio alla fantasia che è una delle nostre più grandi risorse, che è quella che ci ha consentito di dare alla nostra campagna il bel titolo pensato dai lavoratori di Napoli: “Pessima Ikea”. E le pessime idee, le idee low cost, si battono soltanto con le buone ragioni. E noi ne abbiamo da vendere.

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