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Egitto: il terrorismo si combatte in redazione?

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Il governo egiziano ha varato una nuova legge antiterrorismo, subito dopo l’assassinio del procuratore generale della repubblica Hisham Barakt, destinata, secondo molti, a soffocare i pochi spazi di libertà esistenti nel paese. Diversi giuristi l’hanno bollata come “anticostituzionale” visto che sospende a tutti gli effetti numerosi articoli della Costituzione del 2014. E i militanti per i diritti umani, nel criticare queste misure draconiane, hanno ricordato che esse rappresentano una palese violazione degli accordi internazionali sottoscritti dall’Egitto.

L’urgenza di reprimere il terrorismo sconfina nella repressione di ogni forma di dissenso? Il rischio è chiaro, visto che non viene duramente penalizzato solo il terrorismo e il reato di associazione terroristica, ma anche la stessa associazione finalizzata al terrorismo. Vale a dire, nell’Egitto dei militari si perseguita  “la persona morale”. Non la persona fisica oggetto del diritto penale moderno.

Non è tutto. La nuova legge, in sostanza, concede impunemente alle forze dell’ordine licenza di uccidere coloro che sono sospettati nel corso di ordinarie operazioni di polizia. E non perché hanno opposto resistenza. I militari, macchiatisi di questi delitti, non saranno perseguitati penalmente. Per gli imputati di reati di terrorismo i gradi di giudizio saranno ridotti a due.

Diversi articoli della legge, voluta e sollecitata dal presidente el-Sisi, ostile alla lentezza della giustizia del suo paese, colpiscono duramente la libertà di espressione e di stampa. All’articolo 27 della legge, scritto ad hoc per chi  allestisce o scrive per siti sospettati di fiancheggiare i terroristi, si prevede la reclusione da un minimo due anni a un massimo di cinque.

Ancor più duro l’articolo 33, relativo al reato di diffusione di notizie non concordi con quelle diramate dal governo riguardo alle attività di sovversione. Anche in questo caso scatterà una pena minima di due anni. Insomma, i giornalisti non devono cercare né riportare notizie al di fuori di quelle che vengono fornite dal regime.

Come scrive l’Economist d’ora in poi el-Sisi diverrà l’editore unico dell’Egitto, dove tutti i media  sono sottoposti al controllo dello stato. Dunque, dopo il partito unico di Mubarak, Sadat, e Nasser, non si può certo parlare di “novità”. Il sindacato dei giornalisti ha protestato  contro le nuove misure . In particolare contro l’articolo 33 della famigerata legge. In un incontro con il premier Ibrahim Mehleb, il cauto Yehia Qallash, capo del sindacato, ha argomentato che in questo modo “si concede spazio al sensazionalismo dei giornali filo-terroristici che pubblicano all’estero”, (perché liberi dalla spada della legge di el-Sisi), “privando quelli nazionalisti in patria da un’importante fetta dei lettori”.

Una protesta “garbata”, davanti alla quale il governo ha più o meno promesso di riscrivere l’articolo non gradito ai giornalisti.

Nel frattempo è iniziato il conto delle vittime : giorni fa gli agenti hanno fatto irruzione in un sito filo-islamico “al-Hakika” arrestando diversi giornalisti. Questi vanno da aggiungersi ad un’altra sessantina in carcere per reati di opinione; e ai quattro reporter fermati, la settimana prima, davanti all’obitorio del Cairo dove si stava traslando le salme di nove militanti della fratellanza musulmana, uccisi in blitz della polizia all’indomani dell’attentato al procuratore generale. La loro colpa è di aver riportato le proteste dei familiari delle vittime contro il presidente-generale, a loro avviso, mandante dei sicari.

Sorprendono poi anche le misure cui dovrebbero adeguarsi i corrispondenti dei giornali stranieri. La stampa estera infatti è stata invitata dal ministero degli Esteri egiziano a usare un vademecum, in cui si raccomanda di  non usare più il termine islamista o integralista, meglio assassino, tagliagole, criminale, massacratore.


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