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Turchia, i giornalisti rischiano fino a 4-5 anni di carcere se ritenuti colpevoli per un tweet

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È intollerabile che la libertà di stampa sia calpestata in Turchia con una martellante azione repressiva delle autorità verso le voci e le testate considerate di opposizione, come ha documentato con gli ultimi aggiornamenti Pino Scaccia su Articolo21. La reazione delle organizzazioni internazionali dei giornalisti, la Ifj e la Federazione europea (che ha appena concluso la sua assemblea annuale svoltasi in Montenegro) e’ netta più che mai. Ed è un atto forte di solidarietà e di impegno a non lasciare  soli e a rilanciare nel mondo la risposta esemplare dei giornalisti e degli intellettuali turchi contro la nuova stretta dello Stato di Erdogan sulla stampa libera; in particolare dopo i recenti arresti e la richiesta  di condanna all’ergastolo, con l’accusa di violazione di segreto di Stato e spionaggio politico e militare, per il direttore del giornale di opposizione “Cumhuiyet”, Can Dundar. Il giornale aveva pubblicato foto – quindi aveva documentato –  il transito di armi dalla Turchia presumibilmente agli jaidisti.. Intellettuali e giornalisti stavolta vi hanno messo la faccia, pubblicando un manifesto con i loro volti sotto un solo motto (di civiltà): “Soromu Benim”, ossia “Io sono responsabile”. La forza non violenta delle idee della libertà contro la forza della repressione anche fisica. Uomini e media liberi non si piegano alle brutalità contro la libertà dei media, condizione essenziale per distinguere un Paese democratico da un regime autoritario, verso cui pare diretto Erdogan.

Ecco allora che le durissime reazioni internazionali dei giornalisti sono perciò più mette che mai. “L’’escalation inarrestabile di atti di intimidazione e violenza contro i nostri colleghi in Turchia è scioccante”, ha detto il presidente IFJ, Jim Boumelha: “La libertà di stampa non è un dettaglio estetico, è una condizione non negoziabile per garantire la sostenibilità di una democrazia. Non possiamo tollerare che i valori del giornalismo continuino a essere calpestati in Turchia con totale impunità”.
Il Sindacato dei Giornalisti della Turchia (Tgs) e i membri della “Piattaforma Freedom” del Paese  (Mol) chiedono con determinazione  alle autorità turche di porre fine a tutte le pressioni sui media in vista delle elezioni generali che si terranno il 7 giugno prossimo.

La stessa  (IFJ) e la Federazione europea dei giornalisti (EFJ), in loro sostegno, hanno perciò anche lanciato un appello alla Comunità Internazionale perché adotti misure adeguate per denunciare la responsabilità dei crimini commessi contro i lavoratori dei media in queste situazioni assurde. Rinnovate anche le richieste di  rispetto dell’autonomia e dell’indipendenza professionale e di liberazione immediata e incondizionata dei giornalisti che sono stati rapiti o arrestati perché scomodi per il potere.
Per questo scopo appare utile rendere noti  resi nel mondo i documenti di questa angosciosa situazione.  “Piattaforma Freedom”  (Mol) ha pubblicato una documentazione  specifica per denunciare la crescente pressione esercitata sui media e giornalisti in Turchia. Secondo la “Piattaforma”, l’adozione della nuova legge per la Sicurezza Nazionale ha oppresso televisori, radio, siti web e operatori dei media in misura allarmante, dando sviluppo a una serie di gravi incidenti. Essi comprendono il raid della polizia il 26 maggio presso la sede del quotidiano Gelecek, dove sono stati arrestati i giornalisti Ufuk Erhan e Ezgi Aydın, nonché il corrispondente del Birgun Onur Öncü, che era lì  presente. Ufuk Erhan è ancora detenuto, mentre gli altri due giornalisti sono stati rilasciati.
Nel frattempo, dieci giornalisti, tra cui Nazli Ilıcak, Ceyda Karan, Baris Atay, Mirgün Cabas e Banu Güven, sono stati perseguiti per “fare propaganda a favore di un’organizzazione terroristica” a causa della loro commenti su twitter per l’uccisione di un procuratore in Istanbul. I giornalisti rischiano fino a 4-5 anni di carcere se ritenuti  colpevoli per i loro tweets. Dell’ansia e della preoccupazione per la sorte di Can Dundar, del quotidiano Cumhuriyet, al centro della nota della “Piattaforma”, si è già detto. Kamil Maman, invece, giornalista del quotidiano Bugün sta affrontando ben 25 inchieste separate di giudizio per i tweet pubblicati negli ultimi 6 mesi. Per la somma dei casi contestatigli, Maman rischia fino a 130 anni di reclusione.

Il Tgs ha denunciato e segnalato al sindacato internazionale il ferimento del giornalista Emre Sencan, del quotidiano Zaman, mentre era impegnato da cronista a coprire la manifestazione di protesta in commemorazione del secondo anniversario dei fatti di Gezi Parc. Anche riproporre fatti e nomi al mondo intero è azione solidarietà concreta, perché si spezzi la catena degli opportunismi dei grandi interessi internazionali e si impedisca  una deriva senza possibilità di ritorno. La civilissima affermazione e del sindacato turco per vincere una battaglia di libertà decisiva sia ripetuta quanto più possibile ovunque: “Il giornalismo non è un crimine. È un’attività per la libertà di tutti.”


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