Le Nazioni Unite e i suoi organismi li abbiamo studiati a scuola. E’ una memoria lontana, mentre vicina è la cronaca dei suoi interventi militari “di pace” (i famosi caschi blu) e quel senso di inutilità e di impotenza che l’Onu e le sue strutture si portano cucite addosso. E poi, quanti di noi hanno chiaro che l’Fmi (il Fondo monetario europeo) e La BM (la Banca mondiale) sono istituzioni dell’Onu e come tali dovrebbero lavorare in conformità ai suoi dettami? Ma è davvero così?
Nel Palazzo di vetro – costruito 60 anni fa dal grande Oscar Niemeyer nel cuore di Manhattan – ogni giorno quasi 200 paesi di tutto il mondo si incontrano e discutono per risolvere e districare le grandi questioni legate alla pace e agli equilibri politici del pianeta. Tanto per avere un’idea pratica, è lì che quotidianamente i diplomatici di Israele, paesi arabi e realtà palestinesi si incontrano, è lì che la Cina e la Russia si siedono a tavolino, che l’Iran si interfaccia con gli Usa, che i paesi africani hanno voce.
Non ne abbiamo un’idea precisa perché nessuno ce la dà, un’idea precisa, perché le questioni diplomatiche riguardano solo gli “alti livelli”, perché i giornalisti ne parlano in punta di penna e anche perché entrare nel Palazzo dell’Onu e filmare le sue attività è proibito. Per questo e per molto altro, il documentario di Roberto Salinas “The Troublemaker” – presente in questi giorni al Biografilm Festival di Bologna – è un documento straordinario. Che ci permette di entrare al 760 di United Nations Plaza e capire qualcosa di ciò che succede nelle sue stanze.
Salinas lo ha voluto con sé, come testimone video-oculare, Miguel d’Escoto Brockman, chiamato da tutti “padre d’Escoto, presidente dell’Assemblea generale dell’Onu nel 2008. Nicaraguense, membro del governo sandinista, teologo della liberazione, per il suo impegno politico fu sospeso “a divinis” da Giovanni Paolo II. Sospensione revocatagli solo lo scorso anno da Papa Francesco.
Padre d’Escoto (il “Piantagrane” del titolo) entra all’Onu all’inizio del 2008 con la forza di un uomo semplice, latino-americano amante della politica dal basso, coppola in testa e salda determinazione nel far funzionare quel Palazzo di vetro e le sue stanze, a costo di far saltare tutto. Salinas lo segue lungo l’intero anno del suo incarico. Lo vede rimproverare i membri nelle assemblee plenarie, discutere con i dissidenti nei corridoi, passare le serate a riflettere, chiedere consiglio ai suoi aiutanti. <Padre d’Escoto usava un altro linguaggio e aveva tutt’altra visione delle questioni internazionali rispetto ai colleghi, diplomatici di carriera>, racconta il suo consigliere numero uno, l’economista premio Nobel, Joseph Stiglitz. Sarà lui a sostenere d’Escoto nell’idea – sino ad allora mai nemmeno pensata – di creare un G-192 per tentare di risolvere la crisi finanziaria del 2008, quella iniziata con il crack della Lehman Brothers. Non in 8 o in 20 si discute di qualcosa che coinvolge l’intero pianeta – sostiene d’Escoto – e che può annientare i paesi meno rappresentati, non con l’esclusione ma con l’inclusione di tutti i popoli di tutte le terre si deve trovare una soluzione. Padre Miguel stringe i pugni, li punta sulla sua scrivania. Sta sconvolgendo l’intera etichetta, le procedure, i salamelecchi. Parla un linguaggio chiaro contro le mezze falsità dei diplomatici, non cede alle lusinghe, non si leva il baschetto, non molla.
Seguendo padre d’Escoto nelle stanze dell’Onu sembra di vedere, per la prima volta, il cuore politico del mondo pulsare di nuovo. Quel cimitero di carte e documenti prende vita, vediamo questo piccolo uomo dalla faccia contadina mentre tiene la mano in un angolino al rappresentante della Libia, scambiare qualche pacca con il presidente cinese, abbracciare e baciare le rappresentanti africane, accogliere Chavez durante la crisi diplomatica con la Colombia. Salinas riesce a seguirlo anche a Cuba, in un viaggio lampo da Fidel, per constatarne le condizioni di salute e parlare con lui delle prospettive dell’Alba, l’Alleanza bolivariana della nostra America.
Immagini uniche, esperienza irripetibile, quella che ci offre Roberto Salinas, documentarista italo-nicaraguense a cui il destino – e la volontà di ferro di d’Escoto – ha dato l’occasione di entrare in stanze che di solito rimangono chiuse, lì dove il potere fa i suoi giochi lontano da occhi indiscreti.
Alla fine del 2008, d’Escoto è pronto a lasciare la sua poltrona di presidente dell’Assemblea. Ma prima di andarsene è deciso a tirare l’ultimo sasso: vuole far votare all’Assemblea una sua Carta in cui chiede che l’Onu venga, non riformata come tutti chiedono da venti anni, ma rifondata. Buttata giù e ricostruita, su basi di reale egualitarismo e efficacia di azione. Non riuscirà nell’intento, ma il suo sasso è ancora lì, dentro il Palazzo, pronto a spaccare tutte le finestre del grattacielo.
Grazie anche al montaggio di Piero Lassandro e alle belle musiche di Luigi Maiello, “The Troublemaker” di Roberto Salinas è un doc di prima qualità, appassionato e appassionante come un “political thriller” hollywoodiano. Solo che qui è tutto vero.