Ha aspettato il primo confronto elettorale dalla sua elezione, Sergio Mattarella , per confermare che nella seconda repubblica il capo dello stato non può starsene fuori dalla lotta politica a fare l’arbitro distaccato . Questo accade ai capi dello Stato succedutisi a partire dal 1994 , esattamente dall’ implosione del nuovissimo soggetto politico chiamato centro destra , che diede modo all’allora presidente Scalfaro ( che , si era già capito , non aspettava altro) di rimettere in asse la politica per alcuni ,di disassarla per altri.
Fu, questo, il momento di maggiore penetrazione nella dialettica politica da parte di un capo dello Stato negli ultimi vent’anni , assieme all’operazione che portò al governo Mario Monti alla fine del 2011 . Per l’attuale capo dello Stato l’allarme è la litigiosità tra i partiti – e dentro i partiti?- , e costituisce l’occasione del primo richiamo direttamente politico , forte e accuratamente generale , come si conviene ad un ” istituzionalista” ad un tempo teorico ed applicato, quale lui è .
Non a caso il rilievo batte sul tasto , per l’appunto ,della rissosità come fine dell’azione politica anziché come strumento di competizione , in omaggio ad una strategia inaugurata dal protagonista principale del ventennio trascorso , Silvio Berlusconi , e “gioiosamente” ricambiata dall’avversario di centrosinistra . Un fenomeno diffuso , e non solo in Italia , legato alla progressiva sostituzione dei partiti tradizionali con formazioni ad azionista unico e quindi prive della necessità di un bagaglio programmatico .
Focolai di litigiosità pregiudiziale , preprogrammatica , si sviluppano qua e là di continuo , quasi segnali di presenza sul campo. Ad essi si accompagnano , frutto della ricerca di spazi inesplorati su cui rilevare o coltivare forme di consenso politico , differenziazioni in prospettiva dirimenti , come la questione della uscita dalla moneta unica . Questioni che in altri paesi generano agguerrite formazioni destinate all’isolamento , e da noi saranno forse con miope leggerezza capaci di produrre combinazioni elettorali che ci faranno rivivere le ricordate vicende del 1994, trasportando dentro le liste la rissosità delle coalizioni , con la legge elettorale in gestazione .Nel nome ,nobile ,del bipolarismo.
Questa la prospettiva probabile nel centro –destra. Nel partito democratico sembra prevalere un fenomeno opposto , di crescente e non contingente reciproca idiosincrasia , tra maggioranza recente ed opposizione tradizionale : con l’inizio di una diaspora che , visto l’esito delle elezioni in Liguria , rischia di minare la posizione dominante fin qui costruita dal partito renziano.
Il prossimo futuro sarà quindi infiammato dalla questione relativa ai margini di autonomia del dissenso all’interno di una stessa formazione , una volta definita la posizione della maggioranza . Obbligo di adesione a quella posizione , come sostiene Matteo Renzi – capo anche del partito – puro e semplice , e passibile di sanzioni fino all’espulsione dalla comunità politica e parlamentare di quel partito ; ovvero rispetto di un dissenso garantito dalla costituzione , all’art. 67 , ai singoli parlamentari, come sostengono le minoranze?
La questione , che appare di inequivocabile ,opposta chiarezza ai sostenitori di entrambe le tesi , è nella realtà oltremodo complessa , densa di sfumature. Sarà , probabilmente ,una questione su cui si eserciteranno politici , commentatori specializzati , politologi ,costituzionalisti , secondo una facile previsione. Si prenda , quale esempio di questa complessità , la recente sostituzione d’autorità di gran parte della componente dissenziente della commissione affari costituzionali di Montecitorio sulla legge elettorale.
Decisione formalmente legittima , sul piano generale , in ossequio al tendenziale principio di ripartizione proporzionale all’interno degli organi parlamentari , che i ” sostitutori ” hanno ritenuto applicabile alla dialettica interna del partito . Con buona ragione , finchè il caso è singolo , probabilmente; assai più discutibile se ripetuta all’infinito qua e là , di commissione in commissione , con interventi ad hoc , ove assumerebbe una scarsamente legittima valenza moltiplicativa.
Non è , questa , materia di inossidabili certezze , è materia di tanti dubbi . Né sono degni di certezze altri profili della questione , quale ad esempio la trasposizione degli effetti di decisioni di organi partitici sul terreno parlamentare , travolgendo l’ autonomia intangibile dei simmetrici organi decisionali parlamentari . Argomento che sarà necessario riprendere di qui a poco con altra capacità di escavazione , probabilmente . Ma di cui forse non è inutile preannunciare la insospettata complessità ..