Netanyahu: processo di pace è diktat contro la sicurezza di Israele

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Rigettata l’iniziativa francese per accordo entro 18 mesi: secondo il premier israeliano la pace non arriverà grazie a soluzioni imposte dall’esterno.

Articolo di: NEAR EAST NEWS AGENCY

I colloqui di pace sono un “diktat” contro la sicurezza di Israele e per questo Israele dice no. Così il premier Benjamin Netanyahu ha rimandato al mittente la proposta francese di riesumare il processo di pace, avanzata sabato al Cairo dal ministro degli Esteri di Parigi Laurent Fabius alla vigilia del loro incontro ufficiale. “Stanno cercando di spingerci verso confini che non sono soggetti a protezione – ha dichiarato il premier israeliano – ignorando completamente cosa ci sarà dall’altra parte della frontiera. Stiamo purtroppo vivendo questi risultati nella Striscia di Gaza e in Libano”.

I “diktat internazionali” questa volta sono iniziativa della Francia, che è tornata a proporre una road map di 18 mesi per raggiungere un accordo basato sui confini del 1967. Da Parigi fanno sapere che se l’accordo saltasse, la Francia riconoscerebbe unilateralmente lo Stato palestinese, azione già testata lo scorso dicembre con il riconoscimento simbolico della Palestina da parte del Parlamento della République.  “La cosa importante – ha dichiarato Fabius ai giornalisti al Cairo – è riavviare i negoziati: abbiamo bisogno che sia totalmente garantita la sicurezza di Israele, ma allo stesso tempo abbiamo bisogno che vengano riconosciuti i diritti dei palestinesi, perché senza giustizia non ci può essere pace”.

I toni francesi, ieri a Gerusalemme, sono stati un po’ più miti anche se velatamente minacciosi. Parlando in fase di conferenza stampa al termine della sua visita regionale, Fabius ha dichiarato che gli sforzi francesi di ripristinare i colloqui di pace sono coordinati con gli Stati Uniti, con l’obiettivo di trovare una formula che non muova il veto di Washington in caso di risoluzione delle Nazioni Unite. Una nota dolente, quella del veto, per Israele, dopo che l’ambasciatore statunitense presso le Nazioni Unite Samantha Power la scorsa settimana ha rifiutato di promettere che Washington porrà il veto sulla risoluzione francese. Due settimane fa era stato il presidente Usa Barack Obama a minacciare tiepidamente Tel Aviv, chiarendo in un’intervista all’emittente Channel 2 che l’attuale stallo nei negoziati rendeva sempre più difficoltoso per gli Stati Uniti il compito di difendere Israele in sede Onu.

Come illustrato da Fabius in conferenza stampa, l’iniziativa francese si compone di tre punti: il primo è riprendere i colloqui di pace perché, come dichiarato dal Ministro in persona, “sento una volontà in questo senso sia da parte di [il presidente palestinese, ndr] Mahmoud Abbas che da parte di Benjamin Netanyahu”. Il secondo è quello di organizzare una conferenza con i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu assieme ad altri stati europei e arabi per “assistere le parti, non per sostituirsi a esse”. Il terzo punto, il più delicato, è una risoluzione del Consiglio di Sicurezza che contenga un calendario preciso per la conclusione di un accordo finale e tutti i principi per un accordo sui punti fondamentali del conflitto: “un mezzo, non un fine” ha spiegato, per calmare l’opposizione israeliana alla risoluzione.

Parole che non hanno convinto affatto Netanyahu, secondo cui  le “proposte internazionali non prestano alcuna attenzione alle esigenze della sicurezza di Israele e ci costringono a confini che non sono difendibili”, come ha dichiarato ieri prima della riunione di gabinetto. “La pace – ha insistito poi in conferenza stampa assieme a Fabius –  arriverà solo da negoziati diretti tra le parti senza precondizioni e non da risoluzioni delle Nazioni Unite … imposte dall’esterno”. “Infatti – ha aggiunto – qualsiasi risoluzione si limiterà ad allontanare la pace perché Israele resisterà e i palestinesi non accetteranno mai di negoziare”.

Ramallah, invece, ha dichiarato che c’è completa compatibilità tra le richieste palestinesi e l’iniziativa francese, perché Parigi – ha annunciato il presidente palestinese Abu Mazen – ha compreso le necessarie conclusioni su cui “siamo impegnati per portare avanti il processo di pace”. “Avviare i negoziati – ha continuato – porre fine all’occupazione e creare uno Stato palestinese indipendente che assicuri un legame geografico tra la Cisgiordania, la Striscia di Gaza e Gerusalemme Est come capitale secondo il principio dei due Stati”. Però, ha chiarito Abbas, le condizioni alle quali avrebbe potuto accettare la decisione di riaprire i negoziati non cambiano: nessuno stop ai processi di adesione alle organizzazioni internazionali, in particolare alla Corte Penale Internazionale.

Da perlapace


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