di Giuliano Ligabue
Negli ultimi tempi la LegaCoop sembra traballare sotto i colpi delle inchieste giudiziarie. Un provvedimento minimo da adottare – come suggeriscono alcuni, tra cui per esempio il presidente della Confcooperative Gardini – sarebbe quello di sganciare i cda delle cooperative dalla politica e dalle imprese, cioè dagli appalti.
Parlare di «cooperazione», dire «cooperativa» è richiamare alla mente sentimenti e sensazioni di vicinanza e solidarietà, intravedere gruppi organizzati e movimenti collettivi, fino a lambire l’ideologia: un popolo che avanza-quarto Stato, Pellizza da Volpedo…
E, in effetti, con un tuffo nel passato quasi recente – almeno dalla rivoluzione industriale del primo Ottocento – ci imbattiamo in classi lavoratrici impegnate a costruire i loro rapporti solidaristici in organizzazioni di «mutuo soccorso» al fine di tutelare la vita dei più indifesi: dalla salute all’abitazione, ai consumi; fino a trasformarsi in una vera e propria economia cooperativa. Alla base, un concetto semplice: ricevere e coordinare l’apporto economico di ognuno per poterlo restituire con dei vantaggi: un guadagno monetario, un’abitazione.
Nel nostro Paese, il moltiplicarsi delle cooperative in ogni settore sfocerà, a fine XIX secolo (1893) in un’unica, grande organizzazione: la Lega nazionale delle cooperative e mutue. Da quell’alveo si dirameranno, nel solco delle due più diffuse ispirazioni ideali nazionali, la Confcooperative (cattolica) e la Lega delle cooperative (socialista).
Alle due e a tutte le altre, grandi e piccine, la Costituzione italiana (all’articolo 45) riconoscerà «la funzione sociale», ma precisando che dovranno operare «senza fini di speculazioni private». Su questa spinta, la LegaCoop arriverà a scrivere una Carta dei valori cadenzata in ben 21 punti.
La LegaCoop, appunto. Sarà per la tradizione ormai radicata su tutto il territorio, sarà per il fascino conquistato a garanzia – quasi ideologica – per tutto il popolo della sinistra, sta di fatto che nel corso di questi anni è giunta a contare oltre dodici milioni di associati, diventando il terzo gruppo imprenditoriale italiano e una vera e propria dorsale del welfare nazionale.
Eppure. Eppure da un po’ di tempo a questa parte il colosso – perché di colosso si tratta – sembra traballare e si ripetono avvisaglie di scricchiolii che si direbbero venire dal profondo: partono inchieste giudiziarie, dal nord (Veneto) al centro (Roma) al sud (Napoli); i giornali cominciano a parlare di «lobbysmo delle coop». Come a dire «una luce sinistra», a sinistra…
Un nome su tutti e a tutti noto è quello della Cooperativa 29 giugno di Roma, con Carminati e Salvatore Buzzi; non meno nota la cpl Concordia, con tutti i suoi vertici, a Ischia. Tanto che lo stesso presidente della Confcooperative, Maurizio Gardini, esce dal suo seminato per invitare la vicina LegaCoop a «fare pulizia fino in fondo» (Corriere della sera, 19 aprile 2015, pagina 22), suggerendo di sganciare i consigli di amministrazione delle cooperative dalla politica e dalle imprese, cioè dagli appalti.
L’allarme è grosso. Il Tribunale del riesame, a proposito di quanto avvenuto a Ischia, parla di «uno schema collaudato». Collaudato: non è la prima volta, cioè; e non è soltanto lì. Non è nemmeno un caso che lo stesso papa Francesco si sia sentito in dovere di mettere pubblicamente in guardia di fronte alle «false cooperative che prostituiscono i valori della cooperazione», in un contesto di riflessioni sul «martirio quotidiano di cercare il bene comune senza lasciarsi corrompere»; come non è un caso che lo dica a migliaia di soci, e al lì presente presidente della LegaCoop Mauro Lusetti (udienza del 1° marzo 2015).
In quanto a «casi», ce n’è uno ancora in corso – probabilmente non il solo, ma emblematico nelle sue modalità e per il suo significato: è quello che sta riguardando la Cooperativa edilizia Deposito locomotive San Lorenzo di Roma. Una cooperativa considerata «storica» (1944), affiliata alla Legacoop Lazio, radicata nella più tradizionale organizzazione dei lavoratori e che ha messo e mette insieme operai, ferrovieri, impiegati, pensionati, insegnanti, ricercatori fino a contare 1200 associati: negli anni ha costruito circa 1600 appartamenti per i soci e, insieme, si è organizzata in «banca», nel senso che ha sistematicamente raccolto versamenti volontari dei soci con la contropartita di interessi allettanti su quanto depositato.
All’improvviso, e senza la pur minima informazione preventiva, i 217 soci ancora ufficialmente tali vengono a sapere che le casse della loro cooperativa sono vuote e il fallimento è alle porte. Si va in liquidazione coatta amministrativa e la Legacoop Lazio è commissariata. Le conseguenze sono drammatiche: i piani di zona, e quindi gli appartamenti da assegnare, affossati; i depositi monetari dei soci volatilizzati: e si tratta di risparmi di una vita, di liquidazioni intere, di faticosi accantonamenti per i figli. Un furto – perché di questo si tratta – per una somma complessiva di tre milioni di euro.
Truffa in piena regola, nel cuore di Roma, a due passi da via Guattani, sede nazionale della LegaCoop dove, alla delegazione dei poveri soci derubati e arrabbiati che pretendevano un intervento di risarcimento, il presidente Mauro Lusetti non ha saputo dire altro che: «La LegaCoop non fa più ricorso alla solidarietà delle altre associate» (11 marzo 2015), cioè vi abbandona a voi stessi. Per inciso, era la stessa persona, lo stesso presidente che, dieci giorni prima, aveva tranquillizzato il preoccupato papa Francesco in questi termini: «A noi, oggi, tocca la responsabilità di far vivere i valori della cooperazione»!
Non resta, ora, a questi 217 soci raggirati e depredati, che bussare alla porta del ministro del Lavoro Giuliano Poletti perché, due anni fa – quando la Cooperativa Deposito locomotive San Lorenzo sprofondava nel baratro dell’insolvenza – era lui il presidente in carica della LegaCoop: perché non potrebbe, oggi, spiegare qualcosa di più su quanto avvenuto e, soprattutto, non potrebbe usare il suo potere di persuasione per convincere il suo successore Mauro Lusetti a intervenire e sanare la situazione (guarda un po’, questa staffetta tra LegaCoop e Ministero del Lavoro!)?
Ma il Ministro Poletti non si fa trovare né risponde alle ripetute mail di richiesta di incontro. È chiaro che non vuole ricevere i soci. Ma perché? Forse perché – e qui riprendo le parole di papa Francesco, sempre dall’udienza del 1° marzo 2015 – «una cooperativa autentica, vera» è quella «dove non comanda il capitale sugli uomini, ma gli uomini sul capitale». E, forse, non è questo il caso.
(pubblicato su Confronti di giugno 2015)