“Non è esagerato dire che siamo sulla soglia della terza guerra mondiale”. Il supermiliardario George Soros non usa giri di parole per descrivere i pericoli che stiamo correndo. Ad ascoltarlo nel quartier generale della Banca Mondiale a Washington, lo scorso 19 maggio, ci sono i capi delle principali istituzioni finanziarie mondiali. Per evitare questo rischio, continua Soros, “bisogna unire le sfere economiche degli Stati Uniti e della Cina. Senza di questo c’è il pericolo reale che la Cina si unisca politicamente e militarmente alla Russia e allora la minaccia di una terza guerra mondiale diventerebbe realtà. La strada da percorrere è difficile ma l’alternativa è così sgradevole che vale la pena di provarci.” Lo scenario descritto dal celebre finanziere americano allude ad una delle tre principali lotte di potere che stanno devastando il mondo: la lotta per il denaro, la guerra valutaria che rischia di veder soccombere il dollaro. La seconda grande lotta di potere che sta infiammando il pianeta è quella per il controllo mondiale delle ultime terre coltivabili e delle ultime risorse naturali rimaste. La terza è quella meno occultata che sta divorando centinaia di migliaia di vite umane nel mondo islamico: la guerra selvaggia tra sciiti e sunniti.
In altri tempi, neanche troppo remoti, ciascuna di queste tre grandi lotte di potere che minacciano la nostra sopravvivenza sarebbe stata al centro del dibattito internazionale. Oggi invece sono zittite come quasi tutte le altre grandi questioni del nostro tempo. E quel che è peggio è constatare che non c’è più neanche un luogo dove tutti sentano il dovere di confrontarsi con gli altri, dirimere le controversie, ricomporre gli interessi, affrontare le sfide comuni.
Per la verità quel luogo esiste e si chiama Onu, Organizzazione delle Nazioni Unite. Ma nessuno, tra i responsabili delle principali nazioni del mondo, gli da più credito. Attenzione: nessuno la vuole chiudere o buttare via. Ciascuno cerca di usarla come e quando gli fa comodo. A settant’anni dalla sua nascita, invece di festeggiare la Carta dell’Onu, è la festa dell’Onu à la carte. Crisi dopo crisi, anno dopo anno, la sua credibilità è venuta meno e oggi non c’è niente di più facile che puntare il dito contro i suoi limiti, i suoi silenzi, la sua inerzia, i suoi fallimenti.
Tuttavia la colpa non è dell’Onu ma dei governi che ne controllano e condizionano ogni movimento. A loro dobbiamo rivolgerci per esigere un cambio profondo di rotta contro i peggiori incubi che si vanno materializzando e gli egoismi nazionali che li alimentano. Cominciamo noi chiedendo all’Italia di scegliere senza indugio la via dell’Onu e riunire ad Assisi tutti i paesi, le istituzioni e le organizzazioni della società civile disponibili a investire sul suo rilancio. Migrazioni, guerre, terrorismo, cambiamento climatico, impoverimento: non abbiamo altro modo per affrontare con successo queste sfide. La via dell’Onu è la via della collaborazione fraterna tra i popoli. Per quanto possa apparire difficile, per noi che abitiamo al cuore del Mediterraneo, è diventata una scelta vitale, obbligata, urgente.
PS: 70 anni fa un gruppo di politici di diversi paesi scrisse una Carta nuova, con un linguaggio nuovo. Avevano visto la guerra, il nazismo, il fascismo e si riunirono per “salvare le future generazioni dal flagello della guerra”. In quella stessa occasione decisero anche di “riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nella eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole”. E si impegnarono a “promuovere il progresso sociale ed un più elevato tenore di vita in una più ampia libertà”. Era il 26 giugno 1945.
Sette decenni dopo possiamo misurare i risultati e la distanza che ancora oggi ci separa da quegli obiettivi. Ma prima di addentrarci in questa riflessione domandiamoci: Se l’Onu non ci fosse, chi sarebbe in grado di inventarla oggi? Quali uomini di governo oggi sarebbero in grado di scrivere quella Carta? Quanti sarebbero pronti a sottoscriverla?