Secondo una ricerca, comparata a livello europeo e pubblicata dalla Pew Research Centre, l’Italia si è aggiudicata il triste record del sentimento più ostile rispetto alle tre minoranze indagate: rom, ebrei e musulmani. Ovviamente il dato è puramente statistico e basato su criteri forse discutibili, ma il risultato è comunque preoccupante. Cosa sta accadendo al nostro paese?
«L’immigrazione è stata sicuramente fino ad ora gestita male, sia dai precedenti governi di destra ma spesso anche dalla sinistra, e questo ha alimentato un sentimento, anche comprensibile, di sfiducia nei nostri cittadini. Perciò credo che quest’idea, generalizzata, di un’Italia profondamente razzista sia un’idea distorta, sbagliata, che bisogna con urgenza smentire; odio e paura del diverso non sono gli unici sentimenti che vivono nel nostro Paese, c’è un’Italia che fa meno notizia ma che accoglie e tende la mano. Penso ad esempio allo straordinario popolo di Lampedusa, candidato anche al Nobel per la pace. Detto questo, purtroppo, il sensazionalismo di alcuni media e la diffusione di informazioni spesso non veritiere o verificate influenzano i nostri cittadini, alimentano in loro l’ostilità nei confronti delle minoranze, troppo spesso dipinte solo negativamente. Immigrazione e integrazione sono temi complessi, che andrebbero affrontati con attenzione, consapevolezza e preparazione. Inoltre, la becera propaganda costruita nell’ultimo periodo dalla Lega Nord, che fa dell’odio e della paura del diverso la sua unica bandiera, non fa che peggiorare la situazione e trasmettere messaggi quanto mai sbagliati, utili solo a raccattare voti facendo leva sulle paure della gente».
In questi giorni, grazie anche alla buona stagione, stanno aumentando gli approdi sulle nostre coste. Dopo mare Nostrum è arrivata l’operazione Triton, in Europa sono state prese misure per sostenere l’Italia nell’affrontare la tragedia del Mediterraneo. Sono interventi sufficienti?
«Le misure che l’Europa ha preso e sta prendendo per sostenere l’Italia sono, senza dubbio, un primo e importante passo verso una politica solida e comune in tema di gestione dei flussi migratori. L’Unione Europea finalmente si è resa conto che non può abbandonare l’Italia nell’affrontare questa questione complessa e delicata, che necessita di un importante lavoro di squadra per essere risolta. Certo, c’è ancora molto da fare, ma oggi possiamo guardare all’Europa con fiducia. Tragedie in mare come quella dello scorso aprile non devono più accadere; è con questa consapevolezza che bisogna continuare a lavorare affinché ogni paese si assuma le sue responsabilità. Il dialogo, la cooperazione e l’aiuto reciproco sono l’unica chiave per gestire correttamente il fenomeno dell’immigrazione, garantendo così credibilità all’Unione Europea e stabilità ai nostri paesi, e facendo della salvaguardia delle vite umane la nostra assoluta priorità».
Per i media la questione dell’immigrazione è difficile da raccontare, spesso prevale il sensazionalismo della tragedia o il desiderio di evidenziarne la cronaca. Altre volte l’informazione che viene data è puramente strumentale e faziosa. La Carta di Roma e l’Associazione omonima che è nata per darne attuazione cercano di monitorare l’uso delle parole utilizzate e la correttezza dell’informazione.
«Le parole sono strumenti potenti, potentissimi, in grado di influenzare la nostra percezione di un fatto, di un evento, di un problema; lo dico da uomo politico, da giornalista e da cittadino che legge i giornali. Ritrovare l’oggettività dell’informazione e anteporre al sensazionalismo la veridicità dei fatti è fondamentale, affinché nel nostro Paese non si affermino sentimenti distorti, di odio e paura. Spesso leggo o sento usare l’appellativo “clandestini”; le persone senza documenti possono essere “irregolari” rispetto alla legge vigente ma nessuno è clandestino su questa terra. Inoltre gli uomini che affrontano viaggi in mare per fuggire da Paesi lacerati dalla povertà e dalla guerra, lungi dall’essere clandestini sono rifugiati, o meglio ancora richiedenti asilo. Il termine clandestino dal latino clam, “di nascosto”, e intestinus, “interno”, veicola l’idea di illegalità; rifugiato invece richiama uno dei principi sanciti dalla nostra Costituzione, il diritto d’asilo. L’ostacolo che l’Italia si trova oggi ad affrontare è prima di tutto un ostacolo culturale; quella “cattiva maestra televisione” di cui parlavano Pasolini e Popper non può, non deve esistere in un Paese come il nostro, culla di democrazia, storia e cultura. L’Associazione Carta di Roma è da lodare per questo; il lavoro che svolgono è di fondamentale importanza, oltre che un primo passo verso il cambiamento».
La Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei) attraverso il progetto Mediterranean Hope, insieme alla comunità di Sant’Egidio, sta operando per aprire canali umanitari che dal Marocco favorirebbero il passaggio di persone bisognose tutelandone il rispetto, la dignità e la salvaguardia nella legalità. Nessuno sino ad ora si era mosso realmente in tal senso. Cosa ne pensa?
«Abbiamo chiesto più volte a gran voce l’apertura di canali umanitari per i profughi in fuga da guerre; purtroppo no, non è semplice prendere una decisione politica in tal senso, perché i Paesi europei temono di dover poi affrontare da soli l’emergenza come è successo all’Italia durante l’operazione umanitaria Mare Nostrum voluta dall’ex premier Enrico Letta. Dobbiamo invece imparare a considerare l’immigrazione e la gestione dei flussi di profughi una questione pienamente europea, condividendone gli oneri e le responsabilità, solo così i governi potrebbero trovare il coraggio di decisioni importanti».
Il profugo che affronta il mare, spesso di notte e rischia la vita: è dunque il nemico perfetto?
«Purtroppo l’immigrato è storicamente il nemico perfetto per un certo tipo di retorica politica; la resistenza allo straniero è antica e, direi, primitiva. Si teme il diverso da sé, ciò che non si conosce e che, per questo, fa paura. Se poi lo straniero è raccontato dai giornali, dalle trasmissioni e dai politici come quello che si approfitta di noi, che ci toglie il lavoro e pretende la tv via cavo… ecco, certamente questo non aiuta l’integrazione. Ovviamente sappiamo bene che questa narrazione è strumentale, costruita proprio per “creare il nemico”; questo immaginario razzista si combatte con la verità dei dati, delle cifre, e con le buone pratiche di integrazione a scuola come nelle riunioni di condominio, o con le attività dei comitati di quartiere. Ricordo con emozione la “spedizione pulitiva” che ha organizzato l’anno scorso il comitato di quartiere a Tor Pignattara e a cui ho preso parte: una giornata insieme, italiani e immigrati, per pulire le strade, sistemare le aiuole lavorando per il decoro pubblico e per rendere più bello il quartiere che è casa di tutti; questa è la più bella ed efficace risposta ai professionisti della paura e ai razzisti da salotto».
Lei, Chaouki, è nato in Marocco a Casablanca ed è giornalista professionista e deputato nel Pd. Tra i suoi incarichi in diverse Commissioni è anche il coordinatore dell’Intergruppo parlamentare “immigrazione e cittadinanza”. Qual è il vostro impegno?
«L’intergruppo immigrazione è nato con l’obiettivo di creare una discussione attorno al tema della riforma della legge sulla cittadinanza. È un gruppo di lavoro molto grande e trasversale, composto da più di centro tra deputati e senatori di ogni colore politico. Segno che la questione è sentita e che finalmente la politica è matura. L’Italia in questi ultimi dieci anni è molto cambiata e le leggi in materia di cittadinanza sono ormai un vestito vecchio e stretto che non le sta più. Servono leggi nuove e più inclusive, abbiamo un assoluto bisogno di snellire la burocrazia, non possiamo tenere fuori dalla vita civile del Paese più di un milione di ragazzi di seconda generazione, italiani di fatto, che aspettano di diventarlo anche agli occhi della legge. L’Italia è già plurale, perciò il nostro impegno è riformare con urgenza la legge e consentire a chi nasce in Italia da genitori stranieri di diventare italiano già dal primo ciclo di scuola dell’infanzia».
Fonte: Riforma.it