Diciamoci la verità: tutto il mondo parla dell’enciclica di Papa Francesco da due giorni, ma dalla nostra politica, complessivamente, quasi totale silenzio, con la forte eccezione del presidente Mattarella che ha commentato a caldo la Laudato si’ con queste parole: «un documento di altissimo valore morale e di straordinario interesse culturale e sociale. In un momento in cui il dibattito mondiale ha difficoltà a uscire dagli angusti spazi degli interessi nazionali, l’enciclica ci fa entrare nella dimensione autentica della globalizzazione, in un’ottica di interdipendenza e di solidarietà tra i popoli e gli Stati. Il pensiero di Papa Francesco offre una visione integrale della questione ecologica. Si tratta di un contributo indirizzato a tutti, credenti e non credenti, che è molto impegnativo soprattutto per chi ha responsabilità politiche, economiche e sociali».
E in effetti è così ed è una rivoluzione. Sui titoli dei quotidiani on line di tutto il mondo si spiega con chiarezza maggiore rispetto ai nostri giornali – meno presenti del previsto sull’argomento – che non si sta parlando di un una nuova posizione ambientalista del Vaticano, ma di legare la condizione ecologica alla condizione umana, l’ecologia del pianeta all’ecologia dell’uomo.
Un economista, Jeremy Rifkin, dice chiaramente che «Francesco ha capito che siamo nel momento decisivo di uno scontro epocale tra il vecchio capitalismo e un nuovo modello di relazioni economiche, ambientali e sociali.”
Il papa non si limita a indicare una morale, come spesso è accaduto in encicliche del passato, ma chiarisce subito che il suo modello è quel Giovanni XXIII che non si limitava a condannare la guerra ma indicava una strada per la pace, parlando in modo ufficiale per la prima volta non solo ai cattolici ma a tutti gli uomini di buona volontà: Ed è palese che questa enciclica ha il valore, lo spessore, la forza di un messaggio al mondo, comunque la pensino gli uomini in materia religiosa. Altro che greenwashing, questa accusa fa comodo soltanto ai poteri non forti, fortissimi, che da anni comandano anche al posto dei partiti politici e che prima hanno lanciato la new economy, poi con la globalizzazione l’hanno affondata per ampliare i loro profitti, poi hanno voluto salvare solo le banche e non le imprese e men che meno quelli che Bergoglio definisce “i popoli”, cioè gli uomini.
Il Papa dice, senza perifrasi che «la politica non deve sottomettersi all’economia» e questa non deve sottomettersi alla tecnocrazia. A proposito della crisi finanziaria afferma: «Il salvataggio ad ogni costo delle banche, facendo pagare il prezzo alla popolazione, senza la ferma decisione di rivedere e riformare l’intero sistema, riafferma un dominio assoluto della finanza» che potrà solo generare nuove crisi. Francesco invita a «evitare una concezione magica del mercato, che tende a pensare che i problemi si risolvano solo con la crescita dei profitti». Di fronte «alla crescita avida e irresponsabile che si è prodotta per molti decenni, occorre pensare pure a rallentare un po’ il passo», accettando «una certa decrescita in alcune parti del mondo», procurando risorse perché si possa crescere in modo sano da altre parti. Bergoglio osserva che «il principio della massimizzazione del profitto, che tende ad isolarsi da qualsiasi altra considerazione, è una distorsione concettuale dell’economia» e che «oggi alcuni settori economici esercitano più potere degli Stati stessi».
Più chiaro di così! E poi un’altra novità: non si parla di etica e morale dei cattolici, ma della importanza del possibile apporto delle religioni nella soluzione dei problemi economici, sociali e ambientali, una considerazione perfino banale se non si è in mala fede. Tutto questo è incredibilmente moderno e contemporaneo. Come la stupenda citazione sul “diritto alla felicità”, di kennediana memoria, che dovrebbe riportarci tutti con i piedi ben piantati nella realtà, pur essendo forse non un diritto ma un sogno.
A proposito: mi è sfuggito un tweet del presidente del consiglio sull’enciclica, o non l’ha fatto?