Nel rapporto tra televisione e campagne elettorali entra in scena l’astensionismo. Che viene subito rimosso. Eppure, la rappresentanza democratica è profondamente alterata dalla mancanza di metà dei cittadini dalle consultazioni. E’ come se ci si abituasse a leggere solo la metà di un libro o a guardare unicamente il primo tempo di un film. Basti osservare, del resto, i dati in cifra assoluta. Come ha ben annotato il politologo Franco Astengo, i voti validi sono stati 9.293.140 su 18.849.077 elettrici ed elettori iscritti nelle liste: il 49,30%. L’eccedenza di trasmissioni di e sulla politica in tv (+75% il balzo in su dei talk show in meno di due anni, ha scritto su “il manifesto” di domenica scorsa Alberto Baldazzi) ha avuto, tra le altre, la conseguenza della fuga dalle urne.
Da quando è nata, la “Communication research” si interroga su quali siano gli effetti dei media sui comportamenti pubblici, suggerendo diverse ipotesi, tra cui la più gettonata sottolinea i risultati sul medio e lungo termine dei messaggi contenuti nei programmi e nelle news. L’ultimo periodo, quello che prende avvio dalla convocazione dei “comizi”, è lo sprint finale. Nel “caso italiano”, dove la partecipazione è stata altissima, è verosimile che proprio la televisione sia una delle concause principali dei picchi di astensionismo. Perché mai, si dirà. Ecco. Il fenomeno della “domestication”, utilizzato da Roger Silverstone (1992) per spiegare l’ingresso nella quotidianità delle tecnologie via via integrate negli usi e costumi delle persone, riguarda anche la politica. L’entrata nella dieta mediatica di un così abbondante ricorso allo spettacolo della politica trasforma la politica stessa in un normale “format” di consumo. Luogo di urla e di strepiti, cercati per alzare l’audience protesa invece verso il basso, palcoscenico per protagonisti e comprimari che privilegiano la rappresentazione alla rappresentanza. E spesso, purtroppo, le testimonianze di disagio e di disperazione sono trasformate cinicamente in comparse cui offrire slogan effimeri e demagogici. In verità, gli ascolti rimangono modesti –niente a che vedere con le vecchie gloriose Tribune politiche- e la politica diviene un riempitivo dei palinsesti, una componente ossessiva della vita mediatica domestica. Fino a perdere di senso. Certamente, vi sono altri decisivi argomenti per spiegare l’astensionismo (rabbia, delusione, perdita di credibilità del ceto politico), ma è utile considerare il ruolo della televisione.
Non sarà un caso se l’unico soggetto ad acquistare voti è stata la Lega di Salvini, quest’ultimo debordante in termini quantitativi e pur tuttavia unica novità dello spettacolo. Dio mio, non sembri un giudizio positivo. Qui si riflette su quale sia –nella crisi democratica- la funzione della televisione, il mezzo ancora determinante nella “mediazione” tra istituzioni e opinione di massa. I “social” sono sì molto importanti, ma l’uso che ne viene fatto dai gruppi dirigenti assomiglia troppo al territorio televisivo, o alla bacheca elettronica. C’è materia per un’indagine che riveda i confini della dialettica tradizionale. Invece, troppa politica, meno politica?
Come si è già osservato, in simile rottura degli argini la vittima designata è stata la legge sulla “par condicio”, stracciata e buttata nel cestino. Vorremmo suggerire, al riguardo, alla brava Federica Sciarelli di dedicare una puntata di “Chi l’ha visto?” all’Autorità “vigilante”, quella per le garanzie nelle comunicazioni. Se ne sono perse le tracce.