C’è una vera inversione del giornalismo nella macchina del fango che ha colpito il collega Rino Giacalone, a Trapani. Un preoccupante intervento sui connotati della nostra professione, piegandola a fini diversi da quelli per i quali siamo chiamati a rendere conto all’opinione pubblica.
I fatti: un giorno compare su un noto quotidiano siciliano un articolo che senza fare nomi e cognomi, adombra ipotesi di tentata estorsione e millantato credito a carico di un noto giornalista di Trapani. E già qui c’è la prima inversione del giornalismo : un articolo così sarebbe finito nel cestino e non in pagina,in tempi normali. Qualunque capocronista avrebbe detto al suo giornalista: articoli anonimi non se ne pubblicano, vai alla tua fonte, verifica i fatti, se c’è la notizia confermata allora si pubblica con nome e cognome, altrimenti il “pezzo” finisce nel cestino. Ma così non avviene, contravvenendo alla più elementari regole del giornalismo e della cronaca. Perchè?
A questa domanda nessuno ha dato una risposta seria. Forse perchè il tema non era la notizia, ma mettere in moto la macchina del fango, i mormorii da bar, il chiacchiericcio orchestrato per screditare e non per verificare la notizia. Colpire un collega impegnato nelle sue attività di giornalista ed anche nelle attività antimafia?
Passano alcuni giorni e poi, con la prassi di tutte le operazioni del genere, dal metodo Boffo agli attacchi diretti alle persone, una televisione locale afferma in un suo notiziario che quel “noto giornalista” di Trapani, invischiato in questa storia, sarebbe proprio Rino Giacalone. Lo afferma, dirà poi il suo direttore, sulla base di proprie fonti “sicure”; che però non rivela. E’ un suo diritto, le fonti sono spesso coperte. Solo che la magistratura esclude che Rino Giacalone sia indiziato. Ed allora il corto circuito rivela qualche problema, al punto che la stessa direzione della televisione locale chiede a Rino Giacalone di chiudere la vicenda presentando un documento che escluderebbe la sua iscrizione nel registro degli indagati.
E qui che avviene il secondo e grave capovolgimento della professione giornalistica: perchè invece di approfondire a priori ed avere la certezza della prova e della fonte prima di scrivere un articolo o di andare in onda, si chiede alla persone messa in mezzo a sua insaputa e colpita da quei pesanti schizzi di fango, di discolparsi. E’ il capovolgimento dell’ onere della prova che,in questo caso, chiude un circolo vizioso che colpisce un giornalista nella sua persona e nella sua professione. Alla vittima Rino Giacalone viene chiesto di discolparsi,mentre erano i giornalisti che lo hanno messo in mezzo che avrebbero dovuto avere la certezza di quel che dicevano o scrivevano prima di fare il suo nome. E, tanto per rincarare la dose, c’è anche chi dice che ora Giacalone dovrebbe querelare per diffamazione, per fare ulteriore luce sulla vicenda.
A questo punto è urgente rimettere le cose al loro posto. Che Trapani sia un luogo difficile per la nostra professione è certezza; ma proprio per questo il giornalismo deve essere limpido e ben ancorato ai capisaldi della professione. Si deve pubblicare una notizia quando si è sicuri delle fonti e si ha certezza ,provata, di quello che si scrive e non sulla base di fonti non certe o dei “si dice” da chiacchiericcio.
Soprattutto in una situazione difficile come quella di Trapani, dove gli schizzi di fango possono far male, molto male. E l’onere della prova deve tornare nelle mani del cronista. Questo per rispetto dei cittadini, soprattutto nel momento in cui chiediamo la modifica della legge sulla diffamazione per rispettare il diritto dei cittadini ad essere correttamente informati ed il diritto dei giornalisti ad informare correttamente. Un diritto che in entrambi i casi non può essere usato come una clava per colpire persone indifese. Si chiama deontologia professionale ,per i giornalisti. E va sempre ricordato, anche al nostro Ordine Professionale e agli istituti della nostra professione.