La democrazia, sì, ma a piccole dosi         

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Già li sento i soloni del rigore e i sapienti del “così si deve fare”, gli stessi che a questo stadio ci hanno ridotto: “la Grecia non può fare un referendum su temi tanto delicati; affidare a decisioni popolari le scelte in economia è pura follia”. E la democrazia? “Beh, che c’entra, quella funziona se assunta  a piccole dosi, non è che la piazza può scegliere l’andamento del palazzo, al massimo, può indicare la propria preferenza sul colore delle tappezzerie”.

Ora, tecnicamente non saprei dire quale possa essere la soluzione migliore. Ma a giudicare da tutte le giaculatorie di quelli che dicono di saperla lunga, e guardando il punto in cui siamo giunti proprio per seguire i sedicenti esperti, immagino che pochi abbiamo davvero idea di quello che accadrà, in un caso o nell’altro. Tsipras e il Parlamento di Atene indicono una consultazione per sapere dai proprio connazionali se quello che gli chiede l’Europa sia accettabile o meno. E secondo me fanno bene: la democrazia o la si pratica o è inutile predica. Vinceranno i “sì”, e la Grecia rimarrà nell’euro accettando i diktat di quel gruppo una volta noto come Troika? Oppure i “no”, e respingendoli, gli elleni si avvieranno alla fuoriuscita dalla moneta unica? Non lo so, ma so che spetta a loro deciderlo.

Eppure, la chiusura dei ministri europei all’ipotesi di quel referendum, come peraltro era già avvenuto quando a proporne uno non dissimile fu l’esecutivo conservatore guidato da Samaras, dimostra l’ipocrisia nel parlare di democrazia di buona parte delle élite occidentali. Quella roba per cui i ricchi e potenti dicono di mandare i figli dei poveri che nulla possono a morire pur di esportarla, la si vorrebbe confinata a un approccio estetico alle questioni, a un aggettivo come un altro da dare ai propri sistemi, tutt’al più a un metodo per decidere le quisquiglie, come i componenti delle assemblee parlamentari o dei governi, che non incidono minimamente sull’andamento generale e profondo delle questioni. Un facoltà vana, insomma, che giustifica quanti, sempre di più, decidono di non prestarsi e di astenersene.

Si dice: “ma quelle scelte sono troppo delicate per essere affidate a ragionamenti di pancia”. E chi dovrebbe farle? “Delle classi dirigenti più competenti”. Non sono affatto d’accordo. Perché non saranno le pensioni di quelle classi dirigenti a ridursi a trecento euro al mese, roba che i banchieri di Francoforte spenderebbero senza pensarci per una bottiglia di vino, non saranno le élite a perdere i posti di lavoro pagati meno di quanto loro paghino le cravatte, non saranno quei “competenti” che continueranno a permettersi il superfluo, a dover rinunciare all’essenziale.

Quelli che decidono quasi mai sono coloro che subiscono le conseguenze delle loro decisioni, che sia il taglio della spesa pubblica o un suicidio collettivo come a Okinawa. Qualunque sia la decisione del popolo greco domenica 5 luglio, sarà la loro decisione. Ecco perché io sto con Tsipras, anche quando si augura che vincano i “no”, e con i greci, qualsiasi cosa decidano.


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