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La crisi globale dei rifugiati (che ci tocca in minima parte). Nel mondo sono 50 milioni

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Oggi è la Giornata mondiale del rifugiato e in molte città italiane vi sono importanti iniziative per ricordarla. Non mi piace usare i numeri quando parlo di diritti umani, perché rischiano di ridurre le vite umane in anonime cifre. Ma, di fronte all’uso cinico, irresponsabile e volutamente ambiguo che di questi tempi si fa sempre più spesso delle parole (basti pensare alla colpevole confusione tra migranti, profughi, rifugiati, montata ad arte per sovradimensionare e scatenare la paura), stavolta è il caso di raccontare la peggiore crisi dei rifugiati dalla Seconda guerra mondiale proprio attraverso le cifre.

Attualmente nel mondo sono oltre 50 milioni le persone che sono state costrette a lasciare con la forza le loro case, le loro terre, le loro nazioni a causa della persecuzione, della guerra, di genocidi realizzati o tentati. L’83 per cento di queste persone vive in paesi in via di sviluppo, che hanno a disposizione risorse e mezzi per l’accoglienza ben inferiori a quelli che dovrebbe avere la parte più ricca del mondo, che però accoglie solo il 17 per cento dei rifugiati.

Insomma, i rifugiati scappano da paesi poveri e quasi sempre finiscono in paesi poveri. Ad esempio, nell’Africa sub-sahariana vi sono tre milioni di rifugiati (fuggiti da paesi in conflitto come Sudan, Sud Sudan e Repubblica Centrafricana, da paesi profondamente instabili come la Somalia o da paesi dove è in atto da anni una furibonda repressione delle opinioni, come l’Eritrea).  Dal dicembre 2013, il conflitto del Sud Sudan ha prodotto più di 550.000 rifugiati, la maggior parte dei quali è attualmente ospitata in Etiopia, Sudan, Kenya e Uganda. Ai tre milioni di rifugiati sub-sahariani, il mondo ricco ha messo a disposizione neanche 15.000 posti per il reinsediamento.

Il numero dei rifugiati siriani ha ormai superato i quattro milioni (e se si aggiungono i profughi interni scopriamo che la guerra ha sradicato più della metà della popolazione della Siria). Il 95 per cento di loro si trova in soli in cinque paesi: tre milioni in Turchia e Libano (dove una persona su cinque è ormai un rifugiato siriano, come se in Italia avessimo ora 12 milioni di rifugiati!), il resto in Giordania, Iraq ed Egitto.

I posti per il reinsediamento offerti ai rifugiati siriani che si trovano nei cinque paesi che ho elencato sopra sono in tutto meno di 90.000 ossia il 2,2 per cento. Dalla frontiera marittima meridionale europea sono arrivate nel 2014 219.000 persone, grosso modo quante ne sono entrate in Turchia in uno dei mesi del 2014, quando più forte era l’offensiva dello Stato islamico.

Bastano questi numeri per far capire a chi abbia voglia di capirlo che la crisi globale dei rifugiati ci tocca solo in minima parte e che l’Italia e gli altri paesi dell’Unione europea potrebbero e dovrebbero fare molto, ma molto di più per condividere in pieno le responsabilità e le soluzioni.

Quello che invece non ci tocca affatto in minima parte è purtroppo il conto dei morti nel Mediterraneo: quasi 6000 nell’ultimo anno e mezzo. Inevitabile, quando si costringono le persone a mettere le loro vite nelle mani dei trafficanti.


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