Poco più di un anno fa un’inchiesta della Corte penale internazionale e un report di Amnesty International rivelarono al mondo la tragedia umanitaria che si stava consumando nella Repubblica Centrafricana. Le testimonianze e le prove raccolte hanno confermato che nel Paese è in atto una vera e propria pulizia etnica, un orrendo ‘treno’ degli orrori che procede su doppio binario. Su un fronte milizie musulmane che continuano a massacrare civili per fare razzie e cercare di conquistare parti di territorio di cui non hanno più il controllo, sull’altro cristiani e altre minoranze che per rivalsa e per vendetta prendono d’assalto comunità islamiche pacifiche compiendo atti aberranti.
Poco o nulla riescono a fare le forze di pace occidentali schierate nel Paese. La nuova spirale di attacchi e di omicidi interreligiosi sono stati innescati da mesi di abusi contro i cristiani perpetrati impunemente dalla maggioranza musulmana dei Seleka che aveva preso il potere a Bangui con un colpo di stato due anni fa. La reazione della parte avversa è stata di pari violenza. Sono stati presi d’assalto quartieri della capitale e sobborghi abitati da civili, provocando un esodo che ad oggi conta decine di migliaia di sfollati.
Questa escalation di crimini hanno portato la presidente del governo di transizione, Catherine Samba Panza, ad annunciare una “guerra” contro i Balaka.
Il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, vista la gravità della situazione ha invitato un suo rappresentante nel Paese.
Che non sarebbe stato facile rilanciare il dialogo dopo il passo indietro, forzato, di Michel Djotodia e la nomina controversa della nuova presidente, era apparso evidente già all’indomani del suo insediamento.
La situazione centrafricana sta miscelando diversi ingredienti, ognuno dei quali è già di per sé esplosivo. La crisi propone una declinazione plurima: intercomunitaria, securitaria, umanitaria.
La crisi umanitaria ha raggiunto livelli del tutto insostenibili. Una ferocia senza pari si è prima scatenata negli assalti predatori ai villaggi “cristiani” e, alternativamente, “musulmani”, ovvero – nelle aree urbane – alle case e ai negozi e sobborghi “ciadiani”, e poco importa se i quartieri sono cosmopoliti, se case e negozi appartengono a senegalesi o nigeriani o centrafricani. Con il macabro corteo delle fosse comuni, dei corpi carbonizzati, martoriati, fatti a pezzi e lasciati lungo le strade, nei campi, nelle piazze. Un quinto della popolazione è sfollata per fuggire da queste violenze. Il rimpatrio dei ciadiani, ma anche la fuga in massa degli altri “immigrati”, procede senza sosta. Si osserva nei villaggi impauriti una ripresa del reclutamento di bambini-soldato, una recrudescenza della stregoneria. Denutrizione e malnutrizione accentuano i tratti di una situazione sanitaria che rischia ormai il collasso.