Tel Aviv ha impedito al relatore speciale Wibisono di raggiungere i Territori nell’ambito dell’inchiesta su Margine Protettivo. Il governo cerca l’impunità, come quella riservata spesso ai propri soldati: domenica un altro palestinese ucciso.
Prima Israele si autoassolve e poi impedisce alle Nazioni Unite di entrare nei Territori Occupati Palestinesi per proseguire nell’inchiesta sull’attacco militare contro Gaza della scorsa estate.
Il nuovo relatore speciale Onu per la Palestina, Makarim Wibisono (che ha da poco sostituito Richard Falk, considerato un nemico da Tel Aviv), è stato bloccato la scorsa settimana mentre tentava di entrare nei Territori. Ingresso vietato: “Non abbiamo permesso la sua visita – ha detto il portavoce del Ministero degli Esteri israeliano, Emmanuel Nahshon – Israele coopera con tutte le commissioni e i relatori internazionali, eccetto quando il loro mandato è anti-israeliano e Israele non ha la possibilità di far sentire la propria voce”.
Eppure questo relatore, che secondo Tel Aviv è anti-israeliano, è rappresentante delle Nazioni Unite e non di una organizzazione indipendente o non governativa. Ma tant’è: non è la prima volta che Israele taccia il Palazzo di Vetro di antisemitismo o di sentimenti anti-israeliani, nonostante non abbia mai imposto a Tel Aviv il rispetto delle decine di risoluzioni sulla distruzione del Muro di Separazione o lo stop alla colonizzazione nei Territori. E nonostante sia intervenuta solo a parole quando sotto le bombe sono finite le scuole Onu che accoglievano gli sfollati dell’operazione militare israeliana.
A spaventare Israele è la chiusura dell’inchiesta Onu sull’operazione militare israeliana del luglio-agosto 2014, Margine Protettivo, contro la Striscia di Gaza: 50 giorni di bombardamenti aerei e azioni militari via terra che hanno lasciato dietro di sé 2.200 morti (di cui un quarto bambini), 11mila feriti, 100mila rifugiati, quasi 100mila case distrutte o gravemente danneggiate. Il rapporto Onu sarà reso pubblico nei prossimi giorni di fronte al Consiglio Onu per i Diritti Umani, che ne discuterà il 29 giugno. La conferma della prossima pubblicazione è stata data dallo stesso Wibisono, ieri a Ginevra. “La mia speranza è che il rapporto segnerà la strada verso la giustizia per tutti i civili vittime della guerra dello scorso anno – ha aggiunto l’Alto Commissario per i Diritti Umani, Zeid Ra’ad al Hussein – individuando le responsabilità di coloro che hanno commessi gravi violazioni del diritto umanitario internazionale”.
Al rapporto mancherà la visita dell’Onu a Gaza, un fatto che si ripete: lo scorso anno era successo lo stesso, al relatore speciale era stato impedito di entrare nei Territori. Un rapporto non certo facile quello tra Israele e l’Unhrc, con Tel Aviv che ha sempre messo in campo tutto il proprio potere per impedire alle varie inchieste di partire.
Che bisogno c’è di un’inchiesta che potrebbe aprire la strada alle denunce palestinesi alla Corte Penale Internazionale? Dopotutto Israele ha già provveduto, a modo suo: ieri in duecento pagine di rapporto finale, Tel Aviv si è giudicata e poi assolta per quanto commesso in 50 giorni di attacco: “Gran parte di ciò che può essere sembrato a soggetti esterni come danni indiscriminati a civili o oggetti a solo uso civile è avvenuto in verità nell’ambito di attacchi legittimi contro obiettivi militari che semplicemente appaiono civili”.
Insomma, Margine Protettivo è stato un attacco giusto e legale, questo il risultato dell’inchiesta dei Ministeri di Esteri e Giustizia, in collaborazione con l’esercito. Non sono pochi gli osservatori esterni e le organizzazioni per i diritti umani che da tempo attaccano le inchieste faziose condotte dalle autorità israeliane, sempre dirette verso la stessa meta: si indaga sì, ma per autoassolversi. Così si sono chiuse decine di inchieste, dagli attacchi contro Gaza al raid contro la Freedom Flotilla nel maggio 2010, fino ai casi singoli di violenza dei soldati contro civili palestinesi.
Due palestinesi vittime dell’esercito in pochi giorni
I soldati non vengono puniti e tale impunità gli permette di proseguire nelle vessazioni. È il caso del padre palestinese picchiato da sei soldati per aver chiesto loro di non lanciare gas lacrimogeni dentro la sua casa nel campo profughi di Al Jalazon, pochi giorni fa. Le telecamere hanno ripreso la scena e giornali di tutto il mondo hanno dato la notizia del pestaggio ad un uomo disarmato. L’esercito è stato costretto a investigare e ha punito i soldati responsabili con un confinamento di 30 giorni nella base della propria unità e un rimprovero verbale perché – ha detto il comandante di brigata Asher Ben Lulu – “se l’arresto era giustificato, i mezzi erano inappropriati”.
Domenica, invece, a pagare il prezzo della violenza dei soldati è stato Abdullah Iyad Ghuneimat, 22enne del villaggio di Kufr Malik, vicino Ramallah. Mentre tornava a casa dal lavoro, è stato colpito alla schiena dal fuoco israeliano, secondo quanto raccontato da testimoni. È caduto e una jeep militare lo ha investito: è morto dissanguato dopo tre ore di agonia, trascorse sotto la jeep, mentre gridava aiuto, disperato. A paramedici e residenti del villaggio è stato impedito con la forza di prestargli soccorso.
Ghumeimat era stato rilasciato da un prigione israeliana solo due mesi fa. L’esercito ha giustificato la sua uccisione affermando che “un uomo sospetto” aveva tentato di lanciare una molotov ai soldati. Anche questa morte, probabilmente, resterà impunita.