L’articolo di padre Occhetta sulla deontologia dei giornalisti, pubblicato su La Civiltà Cattolica, per noi dell’UCSI è un punto fermo di un percorso cominciato tre anni fa con la partenza dell’Osservatorio di Mediaetica, e sviluppato da padre Occhetta e da altri anche nelle lezioni a numerosi corsi di formazione professionale. E’ dunque con gioia e speranza che assistiamo alla serie di autorevoli apprezzamenti che si sono levati grazie soprattutto a Articolo21.
Punto fermo di un percorso non significa che siamo arrivati alla conclusione, solo che abbiamo una piattaforma solida da cui ripartire. E questo non può essere compito solo dell’UCSI, di Articolo21 e dei suoi amici. Io credo che non sia compito neppure soltanto dei giornalisti: nei paesi anglosassoni anche gli editori dei giornali intervengono in modo significativo nel dibattito deontologico. E non ci sono solo loro: altre categorie di comunicatori professionali entrano in rapporto con le funzioni informative e le condizionano, nel bene e nel male. Anche con loro occorre dialogare.
Da noi invece neppure la RAI, che per il suo carattere pubblico avrebbe il dovere di farsi carico della qualità della informazione offerta, a parte sporadiche riflessioni, non sembra avere affrontato di petto la questione. Eppure dice bene Barbara Scaramucci: i colleghi, l’ambiente professionale, le relazioni in redazione sono i responsabili principali di una pratica comportamentale che il giornalista farà sua nei primi anni di lavoro, e che potrà cambiare solo con impegno gravoso.
Certo non tutti i direttori RAI del passato si chiamavano Albino Longhi, o Emilio Rossi, o Andrea Barbato. Già, i direttori. Dove li mettiamo? Tra i giornalisti o tra gli editori? Troppo facile, troppo sicura la prima risposta. Ma qualcuno ha mai visto un direttore ai corsi di formazione dell’Ordine? Come discente, intendo. Sarebbe divertente se tra le condizioni ostative allo stato di direttore responsabile ci fosse, nella pratica, il mancato rispetto delle norme deontologiche.
Vedrei dunque almeno due indirizzi per il lavoro futuro. Il primo credo sia la RAI, perché una corretta riforma può influenzare l’intero sistema informativo del paese, e perché quello del servizio pubblico è un principio intrinseco della professione giornalistica, nella sua generalità, che deve essere compreso da tutti, anche dai più giovani. In questi mesi molti hanno ragionato sulla riforma e sulla governance. Ora credo che la cosa più importante sia avviare un dibattito sull’informazione del servizio pubblico aperto non solo ai giornalisti, e nel quale credo sia indispensabile il coinvolgimento della RAI stessa.
Il secondo è quello delle pratiche professionali concrete e specifiche nelle redazioni, i rapporti con i direttori, gli editori, e le altre competenze. E qui si potrebbe tentare anche una riscrittura dei codici professionali, pur sapendo che non saranno questi a renderci virtuosi.
Alla fine, forse, ci sarà anche il tempo e la voglia di ragionare sull’Ordine e sulla sua utilità: problema reale, che non sarebbe tra i più urgenti se non fosse per il fatto che i giornalisti non sono autorizzati a regolarsi da soli e devono chiedere permesso alla politica. Che ha tempi lunghi e risposte incerte. Altro piccolo pasticcio all’italiana.
* presidente UCSI