#informazionebenepubblico – L’informazione è come l’acqua: se non è potabile la libertà di tutti ne uscirà intossicata

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È davvero facile trovare nelle riflessioni di padre Francesco Occhetta quei temi che da tempo animano il dibattito di Articolo 21 sul giornalismo. Giornalismo professionale, testimonianza personale, sfruttamento economico dei giornalisti, o aspiranti tali, crisi dell’editoria e fatiche sindacali, previdenziali, assistenziali nel mondo degli enti di garanzia per i giornalisti. Non è questo un tentato riassunto, mancano troppi elementi, temi e soprattutto soggetti coinvolti nella delicata opera di raccontare con obiettività, sensibilità, coscienza e credibilità un paese nel suo trascorrere delle ore. Per blogger, webmaster e chiunque a titolo personale o d’aspirazione intenda mettere il proprio contributo su qualsiasi supporto, muro di ferrovia compreso, proprio l’Articolo 21 della Costituzione nel suo primo paragrafo collega questa attività direttamente – e per fortuna – alla libertà d’espressione, singola e collettiva. Un caso a parte: i danni dei graffiti sui muri, beninteso.

Questo stesso dibattito sul nostro sito è testimonianza di come il confine tra libertà d’espressione e informazione professionalmente intesa resti terra di tutti e quindi di nessuno. Sugli abusi che possono intervenire, sulle approssimazioni e sui danni che può causare un errore in questo esercizio costituzionalmente previsto il discorso cambia nello stesso articolo 21 quando fissa limiti e possibilità di intervento per polizia e autorità giudiziaria. Sfugge a questa norma, se non leggendola in filigrana, il dibattito etico, la sua attualità nel confronto con nuove tecnologie e forme di diffusione di una notizia e quindi una ricognizione su vie di scorrimento fluviale diverse da quelle tradizionalmente intese. In breve. Non posso impedire a nessuno di raccogliere dove meglio crede, fontanella, rigagnolo o pozzanghera, l’acqua che berrà, la libera scelta di dove orientare la ricerca è fondamento della sua libertà individuale e, quand’anche si potesse intervenire, l’impedire di dissetarsi con acqua inaffidabile ha ben poche possibilità di successo. Quello che non possiamo però ammettere è che l’acqua che esce dai rubinetti delle nostre case non sia potabile, non abbia i requisiti che la rendono fruibile senza rischi per la salute. Sono due strade destinate fatalmente a incroci pericolosi ma anche a felici congiunzioni: ad esempio si può iniziare come blogger e poi diventare professionista dell’informazione scegliendo tra i mezzi di comunicazione quello più affine. Tuttavia per chi intende fare di questa attività il proprio mestiere, preferisco il termine “mestiere” a “professione” e non me scuso affatto, le regole non possono essere affidate a una deontologia solo proclamata: necessitano di essere chiarite e fissate in quella praticata.

Così veniamo all’Ordine dei Giornalisti, per molti un istituto superato, in mano a una maggioranza di supposti giornalisti mai entrati in una redazione, mai operativi su un caso di cronaca o impegnati nel racconto di una crisi politica, anche nel piccolo immaginario comune di Rocca Cannuccia. Forse il tesserino serve loro, come ha raccontato in modo efficace Beppe Severgnini nei giorni scorsi, solo per tentare un ingresso gratis a Gardaland con tanto di famiglia al seguito? Personalmente credo di “no”. Per molti è il riconoscimento di attività che si legano a quelle dei giornalisti professionisti operativi in giornali, radio, TV, web. La parte alta della categoria, un tempo, era dei pubblicisti, c’erano scrittori, registi, intellettuali, economisti, medici, avvocati e parlamentari, per citarne qualcuno. Tra loro anche belle eccezioni che entravano eccome nelle redazioni: Ugo Stille direttore de il Corriere della Sera, Mario Deaglio del Sole 24ore, solo per fare due esempi. Laici e credenti, di destra o di sinistra facevano grande, e lo fanno ancora in qualche caso, un dibattito altrimenti a rischio di essere limitato allo stretto perimetro della cronaca. Oggi quell’esercito, quella colonna affatto infame, ha bisogno di una cornice che ne attualizzi l’immagine. In questo consiste, a parer mio, il “grosso” della questione sull’ordine dei giornalisti. Se partiamo volendo intervenire sull’altra parte del mondo giornalistico, come potrebbe anche apparire più giusto e ragionevole, se incominciamo a valutare ruolo, collocazione e peso di chi lavora in una redazione e fa il giornalista come unica attività di vita, torniamo a incasinarci, a dividerci. Quel ruolo è chiaro, non ha bisogno di essere ridefinito, semmai ha bisogno di essere tutelato dall’uso intimidatorio delle querele temerarie, dalle leggi bavaglio, deve essere protetto sindacalmente dagli sfruttamenti, difeso sul futuro della sua previdenza e assistenza sanitaria, entrambe affaticate da anni di crisi, ma professionalmente quel ruolo è chiaro e quello di sempre.

L’Ordine serve ancora? Per me è un convinto “sì” soprattutto perché non affiderei a nessun editore il compito di decidere chi farà o meno il giornalista e senza un ordine professionale lo decidono loro. Affidabili come sanno spesso essere proiettano rischi democratici veri. La Deontologia infine, e mi scuso della lunghezza, non può intervenire su terreni impossibili da praticare. Inseguire chi mette sul web immagini offensive, eccessivamente crude, insopportabilmente fobiche in ogni direzione, è compito di un’autorità giudiziaria, l’ordine può svolgere, come bene ha detto Carlo Verna, il ruolo di segnalare e richiedere un intervento, anche quando non si tratti di sanzionare un suo iscritto. Ridefiniamo il compito di chi svolge vera attività giornalistica: più o meno 30mila soggetti ma fossero anche 40mila sarebbero un terzo mal contato del totale degli iscritti di oggi. Una riforma del nostro Ordine deve poter individuare i professionisti veri, anche se hanno utilizzi diversi nell’editoria. Il resto, gli sbandieratori di tesserini al botteghino di qualche cinema di periferia per entrare gratis, non hanno più spazio in questo mondo e in questa crisi. Il loro “filmetto” resterà un capolavoro la cui grandezza è destinata a restare ignota. Per i giornalisti, a questo punto senza distinzione di elenco, per quelli che effettivamente svolgono questo mestiere, basterà un Ordine snello, ben lontano da quello che richiede adunate oceaniche mensili o bimestrali nella città eterna. Dovranno assumersi però l’intero compito di una tutela vera dell’acqua che esce dal rubinetto. Se non sarà potabile, non sarà l’acqua di tutti e la libertà di tutti ne uscirà intossicata.


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