Un amico gesuita mi ha invitato alla messa-festa per i suoi trent’anni di sacerdozio. E’ una persona generosa, che ha fondato case famiglia nei paesi poveri, portando gli studenti di una delle scuole più prestigiose di Roma a contatto con gli ospiti di questi alloggi. I ragazzi che hanno vissuto queste esperienze sono andati al microfono a ringraziarlo, perché dopo quei campi di lavoro erano tornati cambiati.
E’ successo lo stesso anche a me. Il contatto giovanile con la sofferenza degli altri mi ha fatto scoprire che nel mio piccolo potevo – e dovevo – dare una mano a chi stava peggio di me. Insomma, ho capito che ero responsabile di chi potevo aiutare. Ma anche che l’impegno è faticoso e pieno di delusioni, perché spesso al posto della riconoscenza c’è indifferenza; e i poveri non sono quelli con le barbe candide e le vesti acquarello dei santini. ma persone che puzzano e urlano, indurite dalla sopravvivenza e dall’ingiustizia.
Non lo sapevo, ma in quegli anni di volontariato avevo scoperto la politica.
Fatta di responsabilità, servizio e resistenza.
Roba faticosa, ma che dà senso alla vita.
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