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Il ragazzo Rodotà, il ribelle Landini, Coalizione sociale a passo di carica

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Di Alessandro Cardulli

Li vedi l’uno accanto all’altro, sorridenti, rilassati, parlano fra loro, interrotti solo dai saluti, abbracci, di compagni , di amici. La platea del Centro Congressi Frentani è stracolma. Entusiamo, speranza, ma anche rabbia. C’è anche chi l’ultima volta che ha partecipato ad una assemblea è stato al tempo della “pantera”, 1985. Posti in piedi. Dalla presidenza (“ma no, diamo solo una mano per organizzare al meglio l’assemblea”, dicono ragazze e ragazzi, studenti in particolare, che si stanno battendo contro la “brutta scuola” del duo Renzi-Giannini) l’invito a prendere posto in “loggione”. Ma anche là sopra ben presto il tutto esaurito. Si stanno elaborando i dati sulla partecipazione mentre il dibattito si avvia verso la conclusione. I numeri che vengono comunicati a Landini e Rodotà provocano reazioni a doppio senso. Subito un senso di gioia, di soddisfazione piena, la Coalizione non poteva  nascere meglio di così: al momento della partenza si erano allineati ai nastri, usiamo il gergo ippico, una cinquantina di associazioni. Alla conta finale sono state trecento le adesioni. Non è che l’inizio, primi passi, dice Landini. Molto soddisfatto, così Rodotà, ma anche  preoccupati, una grande responsabilità, non una delega in bianco. Tutt’altro.

Una domanda unanime: organizziamoci in fretta partendo dal basso

Negli interventi sia in seduta plenaria che nelle quattro sessioni  una domanda unanime: organizziamoci in fretta, ma come? Non come i partiti tradizionali, non siamo un partito, non come un sindacato tradizionale, non siamo un sindacato tradizionale, dal basso, nei territori. Ma, dicono tutti, facciamo in fretta, non c’è più tempo da perdere. Già, il tempo. Stando ad alcuni cronisti che ormai neppure quello che vedono, sentono, li smuove dalle loro convinzioni da velina, la verità è che Landini vuole costituire un partito, contro Renzi. È vero che in nessun intervento se ne è parlato, nessuno ha posto il problema di un nuovo partito, la coalizione non lo sarà mai. Non è questo l’obiettivo che ha messo in movimento la Fiom, Landini e Rodotà, ora accompagnati da trecento associazioni. Ma i cronisti, alcuni ovviamente, altri sono  presenti, ma i loro  giornali online, evitano la cronaca dell’avvenimento.

Due storie non parallele. Un grande intellettuale, prestigioso costituzionalista

Rodotà e Landini, due storie, neppure parallele, ma uniti nella lotta, si diceva una volta. Il primo, un fine giurista, uno studioso, un costituzionalista, ha insegnato nelle università di Macerata, Genova e Roma, dove è stato professore ordinario di diritto civile e dove gli è stato conferito il titolo di professore emerito.

Ha insegnato in molte università europee, negli Stati Uniti, in  America latina, Canada, Australia e India. È stato professore invitato presso l’All Souls College di Oxford e la Stanford School of Law. Ha insegnato presso la facoltà di giurisprudenza dell’Università Paris 1 Panthéon-Sorbonne e ha collaborato con il Collége de France. Ha ricevuto la laurea honoris causa dall’ Università Michel de Montaigne Bordeaux 3 e dall’Università degli Studi di Macerata. È presidente del Consiglio di amministrazione dell’International University College of Turin. Poi la politica, sempre a sinistra, parlamentare, presidente del primo Consiglio nazionale del Pds. Dal 2013 è titolare del corso di Bioetica presso la Scuola di Studi Superiori dell’Università di Torino.  Ci fermiamo qui per questione di spazio.

Landini: da apprendista saldatore a segretario generale della Fiom

Maurizio Landini, un’altra storia. È il penultimo di cinque figli, nasce nell’agosto del 1961. Suo padre, attivo nella Resistenza, un cantoniere, la madre casalinga. Cresce a San Polo d’Enza, dopo le scuole medie si iscrive a un istituto per geometri ma è costretto ad abbandonare la scuola per dare una mano al bilancio familiare. Dice lo stesso Landini: “Ho cominciato a lavorare a 15 anni, a fare l’apprendista saldatore. Eravamo un gruppo di ragazzi giovani, lavoravamo in una cooperativa di Reggio Emilia. Dovevamo lavorare all’aperto, faceva freddo d’inverno e c’era un disagio. Non è che volessimo lavorare meno, volevamo vedere riconosciuto questo disagio e abbiamo chiesto alla cooperativa di affrontare questo problema. Era una cooperativa rossa, eravamo tutti iscritti al Partito Comunista e i dirigenti ci dissero che sì, avevamo ragione, però dovevamo tenere conto che la cooperativa aveva dei problemi e che dovevamo fare degli sforzi. Io ero giovane e d’istinto mi venne di interromperlo e di dirgli: ‘Guarda, tu sei un dirigente, e io in tasca ho la tessera del partito che hai anche tu. Però ho freddo lo stesso’.

Il sindacato non deve guardare in faccia a nessuno

Lì ho capito una cosa: il sindacato deve rappresentare le condizioni di chi lavora e non deve guardare in faccia nessuno”. Diventa  delegato sindacale della Fiom, a metà degli  anni Ottanta, si impegna a tempo pieno all’interno della struttura sindacale di appartenenza, iniziando l’itinerario che lo avrebbe portato, venticinque anni dopo, il 1 giugno  del  2010, alla segreteria generale. Cosa hanno in comune i nostri due?  Sono ambedue nel mirino di  Renzi Matteo. Rodotà è uno degli intellettuali radical schic che il premier odia cordialmente,  uno dei gufi insomma. Landini è uno sconfitto. Marchionne, a dire del premier, l’ha asfaltato. Per questo ha avuto l’idea della Coalizione sociale. Nel sindacato, dice Renzi, non lo vogliono più.  Lasciamo perdere Renzi. I due protagonisti  hanno in comune la difesa dei diritti dei lavoratori, la partecipazione dei cittadini, garanzia  per la nostra democrazia. Sempre in comune avvertono i rischi che sta correndo la Costituzione, la difendono, non hanno peli sulla lingua. Sono questi  i fondamentali di Coalizione sociale. Rodotà è durissimo nei confronti del premier, il quale ha annunciato di non assumere alcuna iniziativa nei confronti del sottosegretario all’Agricoltura Giuseppe Castiglione, indagato per la vicenda degli appalti, leggi questione “Mafia capitale”.

Un garantismo del premier peloso e ipocrita. Legga l’art 54 della Costituzione

Sentite Rodotà cosa dice con tono pacato, come è nelle sue abitudini. “Il presidente del Consiglio – ha detto – si è limitato a dire ‘la magistratura faccia il suo mestiere’. Io, però, sono un garantista e non intervengo”. “C’è un garantismo peloso e ipocrita – dice Rodotà – nato nella prima Repubblica, che diceva la stessa cosa: ‘non possiamo intervenire in alcun modo su politici e amministratori, prima che ci sia la sentenza definitiva’. Il che – negli anni – ha voluto dire, mai, perché le sentenze passate in giudicato arrivano dopo un decennio o quando la prescrizione è già intervenuta”. A Renzi ha ricordato che la magistratura deve fare il proprio mestiere, ma lui non è un tribunale, deve rispondere alla Costituzione che recita all’articolo  54: “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierlo con disciplina e onore”. Applauso fragoroso.

Il richiamo ad un canto delle mondine. “Sebben che siamo donne”

E poi, quasi a rispondere al rottamatore conclude richiamando una vecchia canzone, titolo “Sebben che siamo donne”, un canto delle mondine che risale al primi anni del Novecento: “sebben che siamo donne paura non abbiamo per amor dei nostri figli in lega ci mettiamo/sebben che siamo donne paura non abbiamo abbiam delle belle buone lingue e ben ci difendiamo”. Dice Rodotà: “è bello richiamare la nostra storia, guardando al futuro. Anche noi non  abbiamo paura, la lingua non ci manca, ci mettiamo insieme, in lega, dicevano loro, in Coalizione sociale diciamo noi”.

Siamo come un treno in movimento. Tante coalizioni sociali nel territorio

Dal canto suo Landini insiste sullo stare insieme, “nessuno deve essere lasciato solo”. Parla delle lotte di questi mesi, scioperi generali, manifestazioni, il governo non si confronta con noi, non abbiamo avuto risposte positive. Niente. Ora addirittura è in discussione la contrattazione nazionale. “Insieme” è la parola che ripete. Noi siamo una forza se stiamo insieme. E si leva qualche sassolino dalle scarpe. Parla dell’astensionismo. Un partito al massimo rappresenta il venti per cento degli italiani. Ma di che parla Renzi? E, insieme a Rodotà, dà una immagine: “Noi siamo un treno in movimento, ma bisogna muoversi rapidamente. Come? Facciamo nascere nei territori tante coalizioni sociali, apriamo vertenze, seguiamo tutti un unico percorso, prepariamo iniziative, mobilitazioni, lotte, scioperi da valutare. Ci vogliono due, tre mesi. Non di più. Ci rivediamo tutti insieme, valutiamo quello che abbiamo prodotto, troviamo le più adeguate forme di coordinamento. Proposte e iniziative diventano progetto”. Finisce qui, a passo di carica. Domani è un altro giorno. Si riunisce la Direzione del Pd. Un altro mondo.

Da jobsnews.it


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