Poco meno di venti mesi fa, il 9 ottobre 2013, Malala Yousafzai a soli 13 anni fu brutalmente aggredita mentre stava tornando a casa da scuola. Fu colpita alla testa a bruciapelo dai talebani. Un colpo ‘sentito’ in tutto il mondo che non ha ucciso Malala bensì ha dato vita a un movimento di cambiamento con il fine di promuovere l’educazione scolastica di ragazze e bambine che ancor oggi, in Pakistan e in altri paesi in cui le donne non hanno diritti, viene negata. Malala è diventata un simbolo non solo nella Valle di Swat. Il suo coraggio e la sua speranza hanno travalicato i confini pakistani animando una mobilitazione internazionale.
I responsabili di quell’attentato, otto dei dieci terroristi che si riteneva fossero in prigione a scontare una condanna a 25 anni di carcere, processati a porte chiuse da un tribunale militare nelle scorse settimane sono stati liberati perché i giudici li avevano assolti.
A scoprire e a svelare la vicenda è stata la stampa britannica che ha denunciato una ‘trattativa segreta’ dietro l’esito del procedimento giudiziario.
La notizia della scarcerazione degli imputati è stata confermata sia a Londra da un portavoce dell’ambasciata pakistana sia ad Islamabad da fonti della polizia, che hanno però parlato di un equivoco, di “una cattiva interpretazione da parte dei media della sentenza originaria”.
Seppure fosse stato effettivamente travisato il verdetto, ma è difficile credere a un malinteso globale sull’annuncio della condanna a 25 anni per “ognuno dei dieci militanti coinvolti” delle autorità del Pakistan, appare evidente che si sia trattato di un ‘errore’ indotto da una strategia tesa ad allentare la pressione sul caso di Malala.
Nel frattempo stava maturando la decisione del tribunale antiterrorismo di condannare solo due delle persone accusate e rilasciare le altre otto.
A prescindere dalla vicenda giudiziaria, di per sé vergognosa nella gestione ancor prima che nella conclusione, una profonda amarezza pervade chi ha sostenuto dal primo istante la battaglia di Malala, che pur avendo ricevuto il Premio Nobel per la pace resta in molti contesti un’eroina solitaria, ignorata, respinta.
Seguivo i passi di questa piccola, fragile, paladina del diritto all’istruzione alle bambine come lei da prima che i talebani tentassero di ucciderla.
Ero un’assidua frequentatrice del suo blog per la Bbc, su cui scriveva utilizzando uno pseudonimo.
La tredicenne non immaginava che quelle parole sui diritti negati alle donne in Pakistan potessero costarle un sacrificio così grande, ma dopo essersi ripresa, scampata all’attacco mortale, ha raddoppiato i suoi sforzi e ha portato avanti la sua battaglia di sensibilizzazione e di denuncia dell’accesso negato alle scuole in ancora tanti, troppi, paesi nel mondo.
Mi colpì molto il discorso alle Nazioni Unite a New York tenuto nel luglio 2013 che iniziò affermando… “Oggi è il giorno di ogni donna, ogni ragazzo e ogni ragazza che hanno alzato la voce per i propri diritti. La mia grande speranza è che questa sia l’ultima volta che dobbiamo combattere per l’istruzione dei bambini.”
Con grande coraggio e limpidezza Malala chiedeva a tutti noi di unirci e sostenerla nella sua battaglia, per “poter risolvere questa situazione una volta per tutte”.
Se molti passi nella giusta direzione erano stati compiuti fino a quel momento, era giumta l’ora “di fare un balzo in avanti” perché, come ricordava la più giovane premio Nobel per la pace, “non serve dire ai leader quanto sia importante l’istruzione: lo sanno già, i loro figli sono nelle migliori scuole. È ora di dirgli che devono agire, adesso. Chiediamo ai leader del mondo di unirsi e fare dell’istruzione la loro priorità numero uno”.
Non ho potuto fare a meno di pensare a quanto il suo esempio, il suo gesto di eroismo e le sue parole abbiano contribuito a riportare in primo piano uno degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio più lontano dall’essere raggiunto: garantire a tutti l’istruzione primaria.
Malala e il suo messaggio sono un invito ineludibile, un pressante incitamento all’azione per tutti noi, affinché lei, come tanti eroi dei nostri tempi, non siano lasciati più soli.
Oggi più che mai.