In questi giorni che ci separano dal voto sentiamo spesso, dai vertici della Segreteria Nazionale del Partito Democratico, di come il “nuovo Partito” sia stato capace di vincere cinque regioni su sette che domenica scorsa sono andate al voto. Mai come quest’anno però le varie analisi del voto sono state discordanti e spesso anche in aperto contrasto l’una con l’altra; non c’è da sorprendersi, ogni partito in questi casi cerca di tirare acqua al suo mulino volendo dimostrare che l’avversario ha perso anche se ha vinto; si gioca con i numeri e con buona dose di fantasia molto spesso si altera la realtà e si modifica, a proprio piacimento, lo scenario politico nazionale.
Nel caso del PD però c’è un’altra variante in gioco: la minoranza interna, quella che una volta rappresentava la maggioranza e che rappresenta ancora l’Apparato di Partito; il nemico giurato di Renzi, l’Apparato che durante il congresso egli giurò di distruggere è stato l’unico strumento che ha permesso al PD di conquistare, seppur con numeri contrastanti, cinque regioni su sette e, praticamente, tutto il centro e il sud; la spinta propulsiva di Renzi, diciamocela tutta, si è esaurita, il 40,8% lascia spazio al 25% che in alcune regioni scende ulteriormente, chi ha tenuto invece è stata proprio “La Ditta”, quel complesso di persone, strutture e organi che ha permesso la vittoria di tutto il Partito (e quindi anche di Renzi) e che senza la quale molto probabilmente sarebbe finita, questa partita, in modo del tutto diverso.
De Luca viene da’ l’Apparato del PCI, Emiliano ha deciso di stare in coalizione addirittura con il neo PCdI, la Moretti invece, Renziana di ferro, ha fatto perdere al Partito seicentomila voti su novecentomila, con la Marini e la Paita il Partito ha perso metà dell’elettorato, vince invece Rossi e Cersicoli; ciò che rappresentava il nuovo marchio di fabbrica del Partito Democratico, quindi, ha perso; da spinta propulsiva è diventata freno, un freno che ha regalato alla Destra due regioni, regioni che avrebbe vinto il PD se solo fosse stato un po’ più riflessivo nella scelta dei candidati e soprattutto se fosse rimasto nel suo perimetro d’azione, che, come hanno decretato queste elezioni, rimane nel centro-sinistra.
Lo sfondamento a destra quindi non c’è stato, e se la Segreteria Nazionale non si sposterà di nuovo nel raggio d’azione del centro-sinistra molto probabilmente non solo le percentuali scenderanno ancora ma si potrebbe decretare non solo la fine del PD ma la fine del centro-sinistra come esperienza di governo, e si sa, oltre il PD c’è Salvini e non è certo uno scenario rassicurante per le sorti del paese e della democrazia italiana.