Viviamo in uno strano tempo, caratterizzato, da una parte, dal progresso tecnologico, che consente ai governi e alle istituzioni che lo sostengono, un controllo sempre maggiore e più esteso di quello che sentiamo e pensiamo, prima ancora di riuscire ad esprimerlo, ma, dall’altra parte, di fronte alle comprensibili obiezioni di chi si rende conto delle implicazioni, della riduzione oggettiva sempre maggiore di quelle libertà che hanno costituito il nucleo fondante delle costituzioni seguite a quella della rivoluzione francese. Ed è quello che sta avvenendo nella Francia di oggi retta da Francois Hollande e da un governo Walls che deve far fronte come altri governi occidentali all’attacco dello Stato islamico altrimenti noto come ISIS. Ad ascoltare i commenti dello scrittore e informatico Philippe Aigrain che non ha dubbi in materia. Agrain che è anche padre della grande associazione per i diritti digitali francese “la Quadrature du Net” e condirettore del Software Freedom Law Center ma è anche un punto di riferimento in Francia e in Europa sui temi della libertà di informazione e della conoscenza che intende come beni comuni dell’era digitale.
Mercoledì scorso una legge messa in discussione dopo l’assalto con vittime al settimanale Charlie Hebdo e sostenuta da un fronte bipartisan. Con la nuova legge le comunicazioni dei cittadini non potranno sfuggire alle “scatole nere”, i dispositivi di cui i fornitori di Telecom dovranno dotarsi per passare al settaggio i metadati, “i big data” dei francesi. Ma molti della società civile protestano. ” Monsieur Algrain -chiede un giornalista-perché lei sostiene che questa legge, che pure aumenta la sorveglianza, non risulterà né efficace né necessaria contro il terrorismo? La risposta è chiara:” I fatti ci dicono che la quasi totalità degli attentatori che hanno colpito l’Occidente, inclusa Lione, compreso Charlie, era già nota ai servizi di sicurezza. Al contrario non mi risultano azione violente impedite dal tipo di sorveglianza che la legge vuole imporre con la detenzione massiccia di dati filtrati da algoritmi. Il paradosso è che quel tipo di dispositivi può aumentare molto il rischio di falsi allarmi. Sono i cosiddetti “falsi positivi”: rendono quel sistema costoso, intrusivo e inefficace. Il suo campo non è una legge antiterrorismo ma il suo campo di applicazione è molto vasto e contempla interessi economici, di politica estera e le azioni collettive violente.
Più che la paura l’elemento chiave è che siamo disarmati, non sappiamo come lottare per le nostre libertà, i nostri diritti: il bisogno di difenderli non viene percepito come immediato, irreprimibile. E il potere appare debole, un clima di paura e di sospetto-con i quali la sorveglianza ha molto a che fare-consente a chi ha paura di conservarlo.” La domanda finale è quella decisiva. Con la legge appena approvata, “Il vero pericolo-sostiene Aigrain- è la sterilizzazione dello spazio pubblico democratico, la minaccia alla libertà di espressione. E’ il rischio di mettere sullo stesso piano la protesta e la violenza criminale.” Sarebbe forse il caso allora che francesi ma anche europei (come noi che ai francesi siamo per mille aspetti legati) protestassimo con decisione di fronte alla legge e chiedessimo quali sono gli interessi non aperti che li sostengono e se esistono strumenti tecnici che possono proteggere i cittadini da una sorveglianza sempre più massiccia e totale.