Elezioni regionali. L’astensionismo unica forma di opposizione?

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In Italia l’unica forma di opposizione ormai presente sulla scena politica elettorale è quella del “Popolo dell’astensione”. Alle ultime regionali, in pratica, i non votanti sono arrivati al 50% e forse anche qualcosa di più, quando verranno conteggiate le bianche e le nulle. Tendenza che si era manifestata già alle Europee del 2014. Secondo l’Istituto Cattaneo di Bologna, i maggiori partiti (PD, Forza Italia e Movimento 5 Stelle) hanno perso quasi la metà del loro elettorato rispetto alle Europee del 2014, mentre la Lega Nord ne ha guadagnato il 50%, uscendo fuori dalla crisi profonda del “dopo-Bossi”. Spariti, invece, i partiti della sinistra radicale/alternativa, epigoni dei Podemos spagnolo o Syriza greco.

L’opposizione che si materializza nelle manifestazioni antigovernative, negli scioperi sindacali, nei movimenti di base, nelle iniziative sui social network, si è come evaporata, inglobandosi nel “Non-Voto”. E così i leader dei tradizionali partiti “padroni del vapore”, che siedono in Parlamento e al governo, possono ancora cantare vittoria, seppure con voce più rauca del solito.

Un ruolo negativo per il PD lo ha sicuramente giocato la sovraesposizione mediatica di Matteo Renzi, che all’opinione pubblica è sembrato un Presidente del consiglio che non riesce, nonostante i tanti decreti legge e i continui ricorsi al voto di fiducia, a risolvere i problemi concreti della gente, ma anzi ne “incattivisce” le reazioni: chiuso nella sua “Torre d’avorio” di Palazzo Chigi a qualsiasi richiesta di modifiche, tetragono alle pressioni di quanti, movimenti, sindacati, politici, chiedono di essere ascoltati su qualsiasi tema. Più intento a “far passare” sui media tradizionali e sui social network la sua immagine “giovanilista, decisionista e ottimista”, che a “sporcarsi le mani” con i problemi della gente comune. Stessa musica per i suoi cloni, candidati o non, che sono risultati meno simpatici dell’originale, quando non proprio sgraditi e “fuori squadra” nei talk show TV. Certo, qualcuno ricorderà, nei prossimi giorni, quando infurierà la guerriglia interna tra i Dem, per la resa dei conti tra maggioranza tracotante e minoranza tentennante, che a queste elezioni regionali il PD ha perso 2.143.003 voti rispetto alle Europee del 2014, 1.083.557 rispetto alle Politiche 2013, quando era segretario Pier Luigi Bersani, il “rottamato”.

Sovraesposizione che, invece, ha fatto bene a Salvini della Lega Nord, propagandato come l’unico vero oppositore al “regine renziano”, l’autentico “euroscettico”, paladino degli xenofobi e dei tartassati. E, negli ultimi giorni, un pochino anche a Berlusconi, scongelato dal letargo, che però non è riuscito, nonostante gli sforzi di apparizione, a riacciuffare utili margini di consenso: le sue performance sono ormai datate, da ancien regime.

Qualcosa ha portato anche agli esponenti del Movimento 5 Stelle, stavolta nei panni dell’opposizione “gentile e costruttiva”, che ha abbandonato il deserto mediatico e si è offerta al proscenio televisivo con proposte, più che con proteste. E poi il fondatore Grillo è riuscito a contenere le sue uscite roboanti, che spesso gli si sono ritorte contro.

Dunque, un astensionismo (in 10 anni aumentato del 20%), che trova origine soprattutto dalla crisi che morde ancora, nonostante i fuochi fatui di ripresa, amplificati da stampa e TV, i quali strombazzano acriticamente alcuni dati statistici, come se si fosse ormai usciti dalla Recessione e dalla Deflazione/Stagnazione.  Secondo l’Istat, a maggio l’Italia sarebbe uscita dalla deflazione, con l’aumento dell’indice dell’inflazione dello 0,2% (dovuto soprattutto al rialzo dei prezzi dei servizi e del costo di carburanti e prodotti energetici). Il PIL è aumentato dello 0,3% rispetto al trimestre precedente e, quindi, tecnicamente saremmo fuori dalla recessione. Tecnicamente, perché i consumi sono scesi ancora dello 0,1%, mentre a trainare il PIL sono stati investimenti fissi lordi e scorte. Significa che le imprese producono per il magazzino: un segnale molto negativo. Risultati raggiunti grazie anche al Quantitative Easing della BCE di Draghi e all’Euro arrivato quasi alla parità col dollaro, con conseguente ribasso del petrolio e dei prezzi energetici.

Negli ultimi anni, ha spiegato il presidente dell’Inps, Tito Boeri, sono inoltre diminuite le disuguaglianze fra nazioni e sono aumentate quelle interne ai singoli stati: in Italia la crisi ha ridotto del 30% i redditi del 10% più povero della popolazione, mentre nelle fasce più alte l’impatto negativo è stato “solo” del 5%. La forbice della disuguaglianza, quindi, si è allargata! Nelle classifiche sulla disparità di reddito all’interno dei Paesi industrializzati, gli USA svettano davanti alla Gran Bretagna, seguiti al terzo posto dall’Italia.

I numeri del disagio sociale sono implacabili: la disoccupazione è oltre il 13%, quella giovanile ha raggiunto il picco storico del 43%, mentre nell’area Euro questi due indici sono rispettivamente all’11,3% e al 22,7%. Sono ben oltre 6 milioni i disoccupati, comprendendo i 3,2 milioni (ultima Relazione annuale Bankitalia), cioè quelli “espulsi” dal lavoro e coloro che lo cercano, insieme ai circa 3,7 milioni di NEET (Not engaged in Education, Employment or Training), ovvero giovani tra i 15 e i 34 anni, che secondo gli ultimi dati Istat sono fuori da scuole secondarie o università, non hanno un impiego né lo cercano e non sono impegnati in attività assimilabili (“stage” o lavori domestici).

Da tutti questi fattori nasce l’odierno “Astensionismo disperato”, che coinvolge classi sociali una volta anche economicamente forti (ceto medio produttivo, artigiani, commercianti e piccoli imprenditori), cui si aggiungono gli altri strati tradizionalmente colpiti dalle crisi, come operai, pensionati, donne e abitanti del Mezzogiorno. Chi saprà entrare in empatia con loro e convogliare le loro esigenze/richieste in un programma realizzabile in poco tempo, che sappia unire solidarietà, equità e alleggerimento fiscale, sviluppo ecosostenibile dell’occupazione, sistema scolastico innovativo e inclusivo, welfare ripulito di orpelli e magagne burocratico-clientelari; chi saprà condurre questa fascia enorme dell’elettorato italiano verso la riforma anche di un’Unione Europea, ormai sorda alle grida di aiuto dei paesi più deboli, scacciando la tecnocrazia di Bruxelles e sconfiggendo l’iperliberismo monetarista, allora riuscirà a riportare il “popolo del Non-Voto” a farsi rappresentare nelle istituzioni e ridare nuova linfa al sistema democratico. Altrimenti si rischia il ribellismo iconoclastico, la xenofobia, l’euroscetticismo autolesionista e il trionfo di una destra corporativista e illiberale: tentazioni che stanno prendendo piede, purtroppo, nei paesi dell’Est Europa, un tempo soggiogati dal Patto di Varsavia di stampo sovietico.


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