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Chernobyl, un documentario che rivela una inedita verità

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Se vi capita di sentire il tac tac tac tac tac di un picchio russo, sappiate che più che nei pressi di un bosco siete vicini ad una guerra atomica. E’ la strana, pazzesca, avvincente, terrorizzante storia di “The Russian Woodpecker” (“Il picchio russo”), documentario a firma del regista teatrale americano-portoghese Ched Gracia, vincitore – dopo il Sundance – del Life Tales Award al Biografilm Festival di Bologna. E’ la storia di un uomo, Fedor Alexandrovich, di un paese, l’Ucraina, di un pianeta, il nostro. E del rischio costante che il nostro pianeta salti in aria da un momento all’altro, a causa di una guerra, fredda o calda che sia.

Fedor oggi è un artista, un pittore-performer-scenografo ucraino. Quando il quarto reattore della stazione atomica di Chernobyl saltò in aria il 26 aprile 1986, lui aveva quattro anni e viveva a Kiev. Un ragazzino dai tratti intimi geniali, molto sensibile, emotivo, come lo racconta la madre. Che in quella fine di aprile fu separato dai genitori per essere internato, assieme a tutti i bambini della regione di Kiev, in speciali istituti di decontaminazione. Avvertiti con tre giorni di ritardo, le famiglie ucraine dopo l’incidente si erano godute ignare quei primi giorni di primavera portando i bambini a correre nei giardini e a fare il bagno nei fiumi pieni di cesio e stronzio. Si trattava di qualche mese di separazione, ma Fedor pensò di essere stato abbandonato e la ferita gli incise l’anima.

Quasi trenta anni  dopo, Fedor torna sul luogo della tragedia, sua e collettiva. Vuole investigare e capire cosa successe quella notte a Chernobyl; nessuno sino a qui lo ha spiegato, nessun colpevole certo, nessuno che abbia pagato. Coinvolge il suo amico americano Ched Gracia, conosciuto in teatro a Kiev e l’amico operatore Artem Ryzhykov e li convince a tornare a Chernobyl, zona tuttora contaminata. Gli hanno detto che lì è ancora visibile quella che fu – Fedor ne è assolutamente convinto – la vera causa dell’”incidente” nucleare.

Con il passo dell’artista al limite della follia, Fedor ci porta alla scoperta della Duga, un’antenna gigantesca, figlia della Guerra fredda, pensata negli anni Sessanta e costruita nella metà dei Settanta, che emetteva un suono costante e martellante in bassa frequenza conosciuto come “il picchio russo”. Tac, tac, tac, tac…Il suo obiettivo era disturbare tutte le telecomunicazioni del mondo occidentale, captare con largo anticipo gli eventuali movimenti missilistici americani e, qualcuno ipotizza, anche controllare con la sua frequenza le menti dei cittadini sovietici.

Favola o realtà, la Duga è lì, davanti ai nostri occhi, a pochi passi della centrale nucleare. Decine di interviste a scienziati ed ex addetti ai lavori di epoca sovietica ci dicono si trattava di uno dei più nascosti segreti della cold war Usa-Urss, ma che non arrivò mai a funzionare del tutto, forse perché – nonostante fosse costata 3 volte la stazione nucleare – in realtà era una bufala. La tesi di Fedor Alexandrovich è estrema, e collega quella “bufala” all’”incidente” che costò la vita di migliaia di persone e la contaminazione di enormi territori. Estrema, ma fastidiosa se Fedor riceve avvertimenti sufficienti a farlo desistere dal continuare il documentario. A pochi passi dalla fine del lavoro, Fedor non vuole più saperne di picchi russi e di criminali sovietici. Saranno Chad Gracia e Artem Ryzhykov a portare avanti il lavoro fino in fondo, passando anche attraverso la rivoluziona ucraina del febbraio 2014. Kiev è di nuovo al centro dell’attenzione mondiale, la Russia è pronta ad invadere, gli ucraini sono pronti a resistere. Fedor si risveglia dalla paura, torna in piazza, sale sul palco e si gioca la galera e altro gridando al mondo che l’Unione Sovietica non è morta e che un terza guerra mondiale è alle porte. Dopo quell’intervento, una carica delle forze dell’ordine lascerà sul selciato di piazza Maidan più di un centinaio di morti.

E intanto la voce si diffonde, le radio più sofisticate riprendono a captarlo. Quello strano tac tac tac tac è riapparso sullo spettro elettromagnetico. Da qualche mese il picchio russo è tornato a “volare” sui cieli dell’Ucraina.


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