La giornalista Ilaria Alpi e il suo operatore Miran Hovratin vennero uccisi il 20 marzo 1994 mentre gli italiani si preparavano a votare, una settimana dopo, il 27 e il 28 marzo, per Silvio Berlusconi che sarebbe diventato il nuovo capo del governo. Grazie alle prove, scoperte dal giornalista Luigi Grimaldi, quell’assassinio avvenne in un agguato in Somalia organizzato dai servizi segreti italiani e da altri gruppi per sventare la scoperta dovuta alla giornalista italiana di un traffico di armi gestito dalla Cia americana e gestito attraverso la flotta navale della società Shifco, donata dalla Cooperazione Italiana alla Somalia ufficialmente per la pesca. L’agguato fu organizzato dalla Cia con l’aiuto di Gladio italiana. Agli inizi degli anni Novanta, le navi della Shifco erano usate, insieme a navi della Lettonia, per trasportare armi americane e rifiuti tossici anche radioattivi in Somalia e per rifornire di armi la Croazia in guerra contro la Jugoslavia.
Anche se nel film documentario prodotto sulla vicenda e visibile sul sito di Raitre non se ne parla, risulta che una nave della Shifco, la 21 Oktobar II (poi sotto bandiera panamense con il nome di Urguli) si trovava il 10 aprile 1991 nel porto di Livorno dove era in corso un’operazio ne segreta di trasbordo di armi statunitensi rientrate a Camp Darby dopo la guerra all’Iraq e dove si consumò la tragedia della Moby Prince in cui morirono 140 persone. Sul caso di Ilaria Alpi, dopo otto processi, (con la condanna di un somalo ritenuto innocente dagli stessi genitori di Ilaria) e quattro commissioni parlamentari di inchiesta, sta finalmente venendo alla luce la verità, ossia ciò che Ilaria aveva scoperto e appuntato sui taccuini, fatti sparire subito dai servizi segreti. Una verità che oggi appare di drammatica attualità.
L’operazione “Restore hope”, lanciata nel dicembre 1992 in Somalia (paese di grande importanza geo strategica)dal presidente Bush con l’assenso del nuovo presidente Clinton è stata la prima missione di “ingerenza umanitaria”. Con la stessa motivazione, ossia che occorre intervenire militarmente quando è in pericolo la sopravvivenza di un popolo, sono state lanciate le successive guerre di Stati Uniti e Nato contro la Jugoslavia, l’Afghanistan, l’Iraq, la Siria e altre operazioni come quelle ancora in corso nello Yemen e in Ucraina. Tutte preparate e accompagnate, sotto la veste “umanitaria” da attività segrete. Una inchiesta del New York Times, del 24 marzo 2013, ha confermato l’esistenza di una rete internazionale della CIA che, con aerei del Qatar, giordani e sauditi fornisce ai “ribelli” in Siria, attraverso la Turchia, armi provenienti anche dalla Croazia, che restituisce così alla Cia il “favore” ricevuto negli anni Novanta.
Quando il 29 maggio scorso il quotidiano turco Cumhuriyet ha pubblicato un video che mostra il transito di tali armi attraverso la Turchia, il presidente Erdogan ha dichiarato che il direttore del giornale “pagherà un prezzo pesante” per quello che ha rivelato. Ventuno anni fa Ilaria pagò con la vita quello che aveva comunicato con il suo articolo parlato. Da allora la guerra è diventata sempre più coperta. Lo conferma un servizio del New York Times del 7 giugno scorso sulla “Team 6”, unità supersegreta del comando statunitense per le operazioni speciali, incaricata delle “uccisioni silenziose”.
I suoi specialisti “hanno tramato azioni mortali da basi segrete sui calanchi della Somalia,in Afghanistan si sono impegnati in combattimenti così ravvicinati da ritornare imbevuti di sangue non loro” uccidendo anche con “primitivi tomawak”. Usando “stazioni di spionaggio in tutto il mondo” travestendosi da “impiegati civili di compagnie o funzionari di ambasciate”, seguono coloro che “gli Stati Uniti vogliono uccidere o catturare”. Il “Team 6″ è diventato una macchina globale di caccia all’uomo”. I killer di Ilaria Alpi sono oggi ancora più potenti ma la verità incomincia dopo più di vent’anni a emergere.