Per ridurre al silenzio le voci indipendenti e non dare spazio a critiche o denunce di violazioni dei diritti umani, le autorità dello Zimbabwe sta ricorrendo a un sistema semplice quanto efficace: non concedere o non rinnovare la licenza alle radio comunitarie, lasciando l’etere a disposizione delle sole radio commerciali o a quelle legate al governo.
Quando questo non basta, fioccano gli arresti, soprattutto nei confronti dei promotori delle campagne per la concessione delle licenze. Questi ultimi chiedono semplicemente il rispetto della legge: esattamente di quella del 2001, che aveva posto fine al monopolio statale sui mezzi di comunicazione radiofonica istituendo un’authority per la concessione delle licenze.
Da allora, delle licenze hanno beneficiato due radio nazionali e otto locali, tutte possedute o controllate dalla Zimbabwe Newspapers Private Limited, di cui il governo è azionista di maggioranza, dalla compagnia di stato Kingstons Limited e da altre imprese legate al partito al potere.
Almeno 28 radio di comunità indipendenti stanno aspettando da 14 anni di avere la licenza. Per aggirare l’ostacolo, molte di esse hanno avviato una produzione di cd contenenti notizie d’interesse generale quali la prevenzione dell’Hiv, i servizi pubblici, la pianificazione familiare e il miglioramento della vita nelle comunità. Le autorità hanno reagito confiscando migliaia di cd e distruggendo o sequestrando master e apparecchi per produrre le copie.
Il 17 giugno è la scadenza fissata dall’Unione internazionale delle telecomunicazioni perché lo Zimbabwe e altri paesi passino dall’analogico al digitale. Prima di quella data, Amnesty International chiede che il governo dello Zimbabwe assicuri che il diritto alla libertà di espressione e informazione sia garantito a tutti e rilasci le licenze necessarie per assicurare soprattutto a livello locale una pluralità di voci.