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Rom e tv, il simbolo di una degenerazione della professione consolidatasi negli anni

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I giornalisti non hanno soltanto diritti. Hanno anche precisi doveri. A partire dal rispetto della verità sostanziale dei fatti, sancito dall’articolo 2 della legge professionale. L’unico che andrebbe salvato e trascritto integralmente in una nuova legge professionale arenatasi nelle secche del Parlamento, anche per l’azione di interdizione messa in atto – così si racconta – da sedicenti giornalisti preoccupati di perdere rendite di posizione (o posizioni di rendita) consolidate. Il richiamo ai doveri professionali è stato uno dei passaggi fondamentali del recente Congresso della FNSI, celebratosi a Chianciano. Almeno per quanto riguarda il sottoscritto, è un passaggio che nasce dalla consapevolezza che l’autorevolezza e la qualità dell’informazione si costruiscano assicurando dignità e decoro alla professione. La vicenda del finto Rom pagato per raccontare il falso in un’intervista televisiva è soltanto l’ultimo segnale in ordine dì tempo di una degenerazione della professione consolidatasi negli anni. Deve far riflettere che, in questo come in altri casi, il silenzio di chi per legge è il garante dell’etica e della deontologia professionale è stato assordante e che il richiamo alle regole sia arrivato dall’editore (quello che sindacalmente si chiama controparte), che non ha esitato a licenziare il giornalista.
Tutto questo è inaccettabile. La professione giornalistica deve ripartire dai propri doveri. Da quello sancito nella legge professionale a quelli affermati nel corso degli anni in numerose Carte deontologiche, dimenticate e calpestate pressoché quotidianamente. Se i giornalisti sono invisi all’opinione pubblica almeno quanto i politici un motivo c’è e va ricercato nell’ormai inarrestabile deriva della professione. Notizie false o costruite a tavolino, conflitti di interessi, commistioni sempre meno occulte fra informazione e pubblicità sono ormai la normalità di una professione che ha smesso di indignarsi e di servire la verità per essere credibile agli occhi dei cittadini. Occorre rialzare la testa. Ripartire da noi stessi, chiedendo con forza al Parlamento di rimettere in calendario la riforma della legge professionale, nella quale va ripreso con forza il tema della creazione di un giurì per l’informazione che tuteli l’opinione pubblica – non i giornalisti – dalle storture e dagli eccessi di chi inquina la professione.
La credibilità non è come il coraggio di don Abbondio. Se la nostra professione non ce l’ha perché tutti – anche semplicemente tollerando comportamenti sbagliati – l’abbiamo fatta precipitare, bisogna ritrovare la forza per tornare a darcela. La proposta di un forum dell’etica e della deontologia professionale da tenersi ad Assisi, così come proposto da Giuseppe Giulietti, non può che essere accolta e rilanciata. Più che metterci intorno ad un tavolo, dobbiamo tornare a guardarci negli occhi e a parlare di noi. Di quello che siamo e di quello che dobbiamo tornare ad essere se vogliamo dare un futuro al giornalismo professionale. Di questi temi occorre discutere con i Cdr – perché bisogna ripartire dalle redazioni – e con tutte le associazioni, da Articolo 21 a Carta di Roma, ma solo per citarne alcune, che hanno ancora a cuore l’etica della professione e della responsabilità


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