Eccola la fila lunga, lunghissima di ragazze e ragazzi che hanno studiato, che vogliono lavorare, per sposarsi o farsi la loro vita, che vogliono avere la soddisfazione di dimostrare che possono iniziare ad essere utili a se stessi e agli altri.
Sono i ragazzi del 43, cioè del 43% di disoccupazione giovanile. Quelli che porterebbero freschezza, innovazione ed entusiasmo nel lavoro. Se solo ne avessero uno. A questi giovani – senza opportunità e senza sorriso – i vecchi al governo del Jobs Act e con vitalizi dicono che c’è ancora molto da aspettare, perché non si possono colpire gli amici evasori e corruttori, per trovare i soldi con cui lanciare programmi seri di politica industriale, per le innovazioni e le assunzioni.
Ai giovani che hanno progetti ma non rolex, i vecchi del Governo del fare dicono che devono imparare a rinunciare al meglio, vivere alla giornata, lavorare in nero o con le tutele crescenti gnome, ruspando le briciole che cadano dalle tavole dei privilegiati.
Pensando ai “ragazzi del 43” – ho passato la Festa del Lavoro con una grande tristezza. E vergogna.
Perché io – che ho un lavoro a tempo indeterminato e senza tutele crescenti gnome – mi sento gli sguardi dei ragazzi nella lunga fila, addosso.
Iscriviti alla Newsletter di Articolo21