E’ il primo 1° maggio dell’era jobs act. Per i lavoratori c’è poco da festeggiare ma non è nemmeno il caso di fasciarsi la testa. Dobbiamo augurarci che per questa legge avvenga quello che si è verificato per l’art. 18 dello Statuto cui l’opinione moderata ha attribuito falsamente effetti catastrofici per la libera impresa senza nemmeno leggere il testo di questa norma e le sentenze della magistratura del lavoro che l’hanno interpretata. Dobbiamo ora attenderci che il jobs act venga salutato come concessione di mano libera ai padroni. Ove questa opinione si diffonda, gli effetti della nuova normativa saranno amplificati.
Occorre invece ricordare che nel mondo del lavoro permangono le tutele garantite dalla costituzione e dalla legislazione europea. Il passaggio del jobs act non comporta la resa dei diritti dei lavoratori i quali dovranno continuare a pretenderne il rispetto.
Questo vale anche e soprattutto per l’informazione che continua ad essere protetta dall’art.1 dello Statuto, norma non abrogata secondo cui: “I lavoratori, senza distinzione di opinioni politiche, sindacali e di fede religiosa, hanno diritto, nei luoghi dove prestano la loro opera, di manifestare liberamente il proprio pensiero, nel rispetto dei principi della Costituzione e delle norme della presente legge.”
I luoghi di lavoro dove questa disposizione, rafforzata dall’art. 21 della Costituzione, ha maggiori occasioni di essere applicata, sono le redazioni dei giornali, dove deve rimanere vivo il dibattito sulla libertà della professione, con il sostegno del sindacato, le cui responsabilità, nell’era del jobs act, sono aumentate.